Per la prima volta nella storia dell’Università degli Studi di Trieste, a guidare l’Ateneo sarà una Rettrice. A poche settimane dalla sua elezione, abbiamo incontrato la professoressa Donata Vianelli per rivolgerle alcune domande.
Cara Professoressa, ci racconta qualcosa di Lei?
Sono docente di Economia e Gestione delle Imprese e da quattro anni sono Direttrice del Dipartimento di Scienze Economiche, Aziendali, Matematiche e Statistiche dell’Università di Trieste. Mi sono laureata all’Università di Trieste e ho fatto il dottorato all’Università di Venezia, occupandomi soprattutto di internazionalizzazione delle imprese, studi che mi hanno portato a fare molte esperienze di visiting all’estero in Europa, negli Stati Uniti e in Cina. La mia famiglia ha origini vicentine, ma vivo a Trieste da quando avevo sei anni. Ho tre figli di 31, 28 e 26 anni.
Una campagna elettorale tutta al femminile, no?
Si, una campagna elettorale molto bella, assieme alla collega Ilaria Garofolo. È stata bella per due motivi. Innanzitutto, è stato un confronto nel quale entrambe sapevamo che non avremmo vinto perché donne, in un contesto odierno dove spesso la vittoria della donna viene interpretata come una questione prima di tutto di parità di genere piuttosto che di maggiori competenze. Inoltre, la campagna ha superato qualsiasi stereotipo, anche quello che vorrebbe vedere le donne una contro l’altra. Invece è stata una campagna pacata ed elegante: ci siamo messe entrambe a disposizione dell’istituzione e tutte e due siamo state arricchite da questa esperienza.
Una seconda candidatura la sua!
Si, la prima volta non avevo l’esperienza della direzione del Dipartimento. E c’era il professor Di Lenarda, molto preparato e bravo. Ho avuto la fortuna – soprattutto negli ultimi quattro anni – di lavorare fianco a fianco col professor Di Lenarda nella conferenza dei Direttori e nel Senato, persona dalle capacità enormi e riconosciute. Una grande fortuna, quindi. Venendo dopo di lui mi ritengo fortunata perché lascia una Università molto solida.
La campagna elettorale è stata una bellissima esperienza anche perché mi ha dato la possibilità di conoscere molte eccellenze della nostra Università. Il nostro Ateneo è davvero di spessore. Sarà importante nel futuro valorizzare in modo crescente le ricerche e le competenze dei nostri docenti, ricercatori, dottorandi, specializzandi. Lavorano su tantissimi fronti, supportati dalla comunità, molto preparata, del personale tecnico amministrativo.
Una università molto solida che ha superato la pandemia da Covid…
Si, il professor Di Lenarda all’inizio del suo mandato ha dovuto affrontare il Covid con tutte le sue conseguenze, un annus horribilis. Ma poi ha avuto anche la fortuna di veder arrivare i fondi PNNR, che ha saputo gestire in modo davvero egregio. Fortunato, ma anche bravo, perché la gestione di queste opportunità non è scontata: la progettazione è stata adeguata e rispettosa dei tempi e non in tutti gli Atenei questo si è verificato.
Ha citato il personale tecnico amministrativo: spesso lo si dimentica.
E invece è fondamentale. Grazie ai docenti e ai ricercatori, la ricerca e la didattica operata dalla nostra Università, nei vari e diversi ambiti, è di livello eccellente e innovativo. Ma è il personale tecnico amministrativo a mettere i docenti nelle condizioni di poter fare tutto questo. Contrariamente a una visione separata di queste diverse anime dell’Università, tutti lavoriamo sullo stesso obiettivo: ovvero formare i nostri giovani, puntando quindi sul futuro della società. C’è una grande gioia in me nel vedere quanto la comunità universitaria, con le sue eccellenze, possa fare per il futuro e la crescita della società. Poter lavorare all’Università è un privilegio: è uno dei pochi enti pubblici che lavora per il futuro, che lavora con e per i giovani.
Cosa ci dice dei giovani universitari?
Per me sono una ragion d’essere. Nei momenti di difficoltà ciò che mi ha sempre aiutato è il poter lavorare assieme ai giovani, per gli studenti dell’Ateneo. Mi sono sempre dedicata ai miei studenti, sviluppando progetti che potessero rafforzare il loro percorso formativo, aiutandoli e cercando di capirli, supportandoli anche nei momenti di difficoltà. Negli ultimi anni, come direttrice di dipartimento, ho cercato di valorizzare anche gli spazi, non solo con riferimento alle sale studio ma anche le aree relax in modo che i giovani possano trovarsi bene anche fisicamente. L’attenzione ai giovani ha sempre caratterizzato il mio percorso universitario, tanto è vero che con il Rettore Fermeglia sono stata delegata all’Orientamento in entrata e uscita, con l’obiettivo di aiutare i ragazzi delle scuole superiori nella scelta del percorso universitario e poi di accompagnarli nel mondo lavorativo. Nel mio programma è stato, quindi, naturale dedicare un punto proprio agli studenti e alle studentesse.
Tra l’altro vi sono anche tanti studenti stranieri nella nostra Università!
Si, e abbiamo cercato sempre di aiutarli, dalla ricerca dell’alloggio alla compilazione delle pratiche di iscrizione. Sono ragazzi che possono avere anche situazioni molto complesse alle spalle. In modo particolare il mio Dipartimento mi ha aiutato a vedere molte di queste situazioni. Noi siamo un piccolo Dipartimento dal punto di vista del numero dei docenti, ma siamo un Dipartimento grande per la numerosità degli studenti e delle studentesse, che sono circa duemilaseicento, secondi solo al Dipartimento di Studi Umanistici.
Quando si ha a che fare con molti studenti, le problematicità possono essere numerose. Non di rado, ad esempio, dobbiamo venire incontro a studenti con problemi di salute, spesso anche molto gravi. Il postcovid, poi, è stato un periodo molto complesso: penso ai ragazzi che si sono iscritti dopo aver fatto gli ultimi anni delle scuole superiori a casa. Molti di loro avevano attacchi di panico, con ansie e altre difficoltà. Stare loro vicino è secondo me fondamentale, supportandoli nel migliore dei modi.
Questa attenzione la porterà anche a tutto l’Ateneo?
Si, ci sarà una delega nuova che pone una speciale attenzione all’ambito degli studenti e delle studentesse! Ma l’attenzione agli studenti sarà presente in tante altre deleghe: dal miglioramento degli spazi loro dedicati, al diritto allo studio (penso alla no tax area fino ai 30mila euro di ISEE, che è stato un passo importante quest’anno in Ateneo: ci sono davvero famiglie in difficoltà che vanno sostenute e aiutate). Ma tutto ciò vuol dire anche tanta progettualità che porti vita e coinvolgimento per tutti gli studenti.
La terza missione – cioè quel mandato istituzionale che si affianca all’insegnamento e alla ricerca e si concentra sui progetti e le politiche che incoraggiano il trasferimento di conoscenze nella comunità – è importante per le università. Cosa pensa a tal proposito?
L’apertura sul territorio è fondamentale, non solo perché il territorio stesso ne può beneficiare, ma anche perché la stessa Università ha bisogno di sentire le esigenze del territorio, dalle istituzioni, dalla cittadinanza. È qualcosa di molto articolato. Comprende la divulgazione scientifica, il trasferimento tecnologico, quindi molto ampio. Il vero problema è che il concetto di terza missione è ancora oggi molto in evoluzione, quindi nei prossimi anni dobbiamo arrivare ad una chiara definizione di cosa essa sia, di come la si possa valorizzare. Anche per la nostra università, spesso diciamo che dobbiamo scendere dal colle di Piazzale Europa ed entrare in città, concretamente, nel vissuto del nostro territorio con i suoi cittadini.
Anche l’accordo CRUI-CEI (l’accordo tra la Conferenza dei Rettori italiani e la Conferenza episcopale italiana per promuovere iniziative e progetti in collaborazione) può inserirsi in questo percorso, non trova?
In un’Università come la nostra, con tanti studenti stranieri e tante religioni, una relazione tra studenti e territorio può anche favorire il dialogo interreligioso. L’Università è laica e in aula non vedo differenze religiose, anche se so che ci sono. Io devo insegnare – penso alle nostre materie economiche – nel contesto delle strategie delle aziende e dei mercati internazionali, con l’attenzione e il rispetto del locale, delle culture, delle lingue e quindi della religione. I fenomeni religiosi sono complessi e delicati e gli studenti vanno introdotti a questa complessità. Le culture sono complesse, sono come un iceberg: ne vedi la punta, ma la parte sotto, quella nascosta, è enorme. Lavorando su questi aspetti anche noi, come Università, possiamo dare un contributo alla pace, promuovendo i valori comuni ed evitando ogni forma di polarizzazione e di contrasto.
a cura di don Lorenzo Magarelli