Padre Paolo Bizzeti, 78 anni, gesuita, vescovo emerito di Tabe e già vicario apostolico d’Anatolia, è intervenuto ieri, 26 settembre, a Trieste, presso la chiesa di sant’Antonio Taumaturgo, per condividere un’originale e provocante meditazione “L’incontro personale con Cristo”.
L’incipit della serata ha suscitato una grande attenzione tra i presenti, poiché monsignor Bizzeti ha dato prova di un’originale capacità comunicativa, ricreando, in forma teatrale, la scena della passione di Cristo, che ha interpretato con essenziale realismo, fino a lasciarsi deporre in una bara funebre. Un’introduzione al tema proposto decisamente insolita e di forte impatto emotivo, che ha posto l’accento sulla centralità del nostro rapporto con Gesù, a partire dell’accoglienza del kerygma, l’annuncio della salvezza donata dalla passione, morte e risurrezione di Cristo. «Per instaurare una relazione personale con Gesù, gli devi dare una chance, riconoscendo che egli è vivo. Il Signore è morto come aveva detto, ma è anche risorto, come aveva preannunciato. Ma tu pensi che, in fondo, Gesù è un personaggio del passato o è il Signore della tua vita? Hai delle motivazioni per poter dire che lui ha in mano la tua vita, che Gesù è il Re dei re? Ammettiamo che lui è vivo. Ma per molti credenti la sua ascensione è considerata come una sorta di pensionamento» ha detto nella sua successiva riflessione padre Bizzeti, che ha poi proposto alcuni passi decisivi per realizzare un’effettiva comunicazione con il Signore vivente.
Il primo: Prendere ispirazione dai discepoli di Emmaus. «Chiediamoci come ragionano quando incontrano questo occasionale compagno di strada. Si sentono traditi. Tutto per loro è finito male, i malvagi prosperano. Dov’è il Salvatore? Le ingiustizie continuano, i prepotenti dominano. Sorge nel loro cuore un senso di rabbia, essi si domandano di chi sia la colpa. Questo interrogativo rivela una prospettiva antica, emerge dalla rivelazione biblica fin dai tempi di Adamo: “la donna che tu mi hai messo accanto”. Cerchiamo sempre a chi affibbiare la colpa. A ben vedere, se stiamo male, qualcosa non ha funzionato, viene il sospetto che alla fine la colpa sia di Dio, che Gesù non abbia adempiuto bene alla sua missione. Si annida nel nostro animo un risentimento per un redentore che ha salvato poco, non ha fatto nulla per cambiare le sorti di questa vita, forse bisognerà attendere una svolta nella prossima, ma intanto i nostri giorni percorrono itinerari sofferti. Non abbiamo il coraggio di dire al Signore: noi speravamo in te, ma tu ci hai deluso. Bisogna riconoscere che ognuno di noi ha commesso degli sbagli e dei peccati. Dare la colpa agli altri non serve, perché essi perché ce la rimandano indietro. Attribuire a noi stessi questo senso di colpa è inutile, perché non cambia niente della nostra vita. È necessario manifestare la nostra delusione nei confronti di Gesù: ho pregato, ma non è servito a niente. Ci vuole il coraggio di dire al Signore: la colpa è tua. Gesù accoglie pazientemente il nostro atto d’accusa, come si mise ad ascoltare le lamentele dei due di Emmaus. Se vuoi trovare il Signore, devi tirare fuori la delusione che c’è in te. Dargli la radice dei tuoi peccati: tu ci hai fatto male, ci hai messo in un mondo che non va bene, permetti tutto, i conti non tornano nei momenti drammatici della nostra esistenza. Siamo come una scheggia dispersa nell’universo e tu ci lasci allo sbaraglio».
Il secondo: seguire la logica di Gesù. «Gesù ti dirà: cosa dovrei fare, come i potenti della terra, toglierti la libertà? Eliminare i tuoi avversari? Il Signore segue una logica diversa: prende sul serio la libertà altrui e accompagna ognuno di noi così com’è, nonostante ciascuno pensi di sapere quale sia la ricetta per mettere a posto il mondo. La storia biblica ci offre dei profili significativi al riguardo: Mosè, Isaia, Geremia. Noi crediamo di sapere cos’è bene e in cosa consiste il male, ci sentiamo in diritto di eliminare i cattivi. Bisogna ascoltare la versione su come ci salva il Signore: assumere il suo essere mite e umile di cuore, per emanciparsi dallo spirito di competizione, che ci spinge a voler sempre essere al primo posto, facendo fuori i nemici. Per incontrare Gesù, è necessario mettersi in sintonia con un perdente, che è morto per amore. Se vuoi entrare in contatto con Gesù, devi discutere con lui, chiedergli quale sia la sua logica. Una bella discussione da adulti, che metta in crisi le tue rigidità mentali».
Il terzo: prendere Gesù come compagno di viaggio. «L’evangelista Luca rivela che Gesù intendeva continuare a percorrere da solo la sua strada, ma i discepoli di Emmaus lo invitano a fermarsi a cena con loro. Siamo sollecitati a decidere di prendere Gesù come nostro compagno di viaggio. Pagare la cena, lasciare che entri a casa tua, dargli spazio. Gesù sta con te se tu lo vuoi, se gli dedichi del tempo, dai spazio a lui, leggi il Vangelo, lo riconosci nei poveri. È una scelta di campo, per accogliere un Dio che è morto, mettendosi dalla parte degli emarginati e degli indifesi. Devi investire le tue energie per il Signore, bisogna mettere le cose in ordine. Lo sai tu o lo sa lui come è potuto avvenire questo incontro. Gesù gioca questa relazione nel rispetto delle tue scelte, per lasciarti libero. Non lo incontrerai facendo il crociato, lasciati mettere in croce. Altrimenti la gente non riconoscerà in noi un’alternativa, vivremo come i pagani, svanirà l’originalità della vita cristiana. Ma la tua tristezza si trasformerà in gioia se oserai compromettere te stesso con Gesù, insieme a lui, potrai vincere la morte, perché è donando se stessi per amore che si mette in salvo la propria vita. Allora incontrerai Gesù, altrimenti seguirai un mito, quell’immagine di un Dio che agli uomini piace tanto, perché, come Gedeone, ammazza tutti i nostri avversari».
A conclusione della sua meditazione, padre Bizzeti ha quindi offerto un invito: «La buona notizia annunciata da Gesù ha suscitato fin dall’inizio delle chiese con espressioni plurali. La stessa fede si è manifestata in molteplici forme e tradizioni, a seconda delle culture e del contesto sociale dei rispettivi popoli. La parola di Gesù crea comunione, edifica comunità capaci di accogliere la peculiarità di ciascuno come una ricchezza per tutti. Impariamo ad essere insieme nella nostra diversità».
Per tutta la durata dell’incontro, un diffuso silenzio ha accompagnato l’intervento di padre Paolo Bizzeti, segno eloquente di una parola capace di penetrare in radice i nodi irrisolti del nostro confronto con Cristo, per ricomporre la distanza tra le vicissitudini della nostra quotidianità e l’apertura all’orizzonte sconfinato del Vangelo.
Come ha ricordato il nostro Vescovo, possiamo concederci la libertà di qualche scelta, per muovere i nostri passi sulle vie tracciate dal Signore. E, a conclusione di questa intensa serata, ha condiviso un episodio personale, che ha suscitato in lui una particolare emozione. Ha raccontato di aver recentemente ricevuto la telefonata di un volontario, che gli chiedeva di rivolgere un appello, perché c’è bisogno di altre braccia disponibili a darsi da fare, e lo invitava a passare un po’ di tempo a pranzo con loro, per condividere questa esperienza di servizio. Il vescovo Enrico è rimasto colpito dalla generosità di queste persone: «Non è che abbiano niente da fare, ma hanno fatto delle scelte…».
don Manfredi Poillucci