Incanalare il dolore per farlo fiorire. Insieme.

Il parroco di Muggia, don Andrea Destradi, racconta lo shock, ma anche la coesione di una comunità di fronte all'impensabile. In memoria del piccolo Giovanni.

Il male c’è. L’abbiamo incontrato. Questa è la sensazione che respiriamo qui a Muggia da giovedì mattina 13 novembre 2025 quando, quella che doveva essere una consueta giornata di mercato, si è trasformata in una giornata che piazza Marconi non dimenticherà, né dovrà dimenticare, mai. Lo tsunami di dolore e sgomento ha avuto bisogno di parecchie ore, per non dire giorni, per mostrare i suoi lividi cangianti sul corpo della Comunità tutta. Da una parte le istituzioni: amministrazione comunale, forze dell’ordine, servizi sociali e fra queste, anche la parrocchia; ci siamo resi tutti conto che il peso sociale di quanto accaduto sia schiacciante. Dall’altra il popolo, la gente di questo piccolo Comune: le persone più anziane, memoria della Comunità trovatesi di fronte alla pena di dover registrare questo fatto a detta di tutti inedito e, speriamo, tragicamente unico della storia; poi gli adolescenti che, aperti con la loro vita al futuro pur con mille incognite, rimangono sgomenti di fronte a tanta barbarie; in ultimo le famiglie, sposi e genitori, che si trovano a fare i conti con il loro dolore e con lo smarrimento dei propri figli che arrivati all’età della ragione chiedono a mamma e papà: perché? E di fronte ai figli più grandi la fatica di provare e cercare le parole, inesistenti, per dire che a uccidere Giovanni è stata colei che avrebbe dovuto custodirne in modo sacro la vita. Bisogna usare una perifrasi per non sporcare quella parola troppo bella, vera e dolce che è: mamma.

L’incontro faccia a faccia con il male, dopo l’immobilizzante shock iniziale, chiede di reagire e di farlo con forza. Come parroco e riferimento spirituale di questa comunità mi è parso necessario adoperarmi in prima persona e mettere in campo tutte le forze necessarie per sostenere anzitutto Paolo, il papà di Giovanni, e la Comunità tutta per cercare insieme un “senso” non inteso come spiegazione, ma come direzione nella quale incanalare il dolore e farlo fiorire. Due cose: preghiera e carità, la veglia e la colletta. Sulla prima ho letto tanti commenti negativi e aggressivi sui social riassumibili sostanzialmente con: “pregare adesso è inutile”. Sarei d’accordo se la preghiera avesse poteri magici. Ma non è così la preghiera cristiana: basta guardare alla preghiera di Gesù nella sua agonia, non fu magìa, fu forza nella prova. Ed è così che abbiamo interpretato la veglia di sabato sera. Una folla che forse Muggia non ha mai visto nel suo Duomo, i libretti preparati erano trecento, di due e mezzo volte inferiori al numero che sarebbe stato necessario.

 

Abbiamo preparato tutto con cura ma in fretta e furia, bisognava reagire per – uso una parola forte – esorcizzare questo male assoluto che ci ha investiti tutti e feriti, profondamente, nel cuore. La risposta è stata di popolo.

Non è stata una preghiera volta ai ricordi e al rimpianto ma una preghiera capace di far proprio questo dolore, accettarlo, accoglierlo, validarlo (si direbbe in termine psicologico), una preghiera parte di questa collettiva elaborazione di un lutto troppo grande perché ciascuno lo potesse elaborare del tutto da solo. Una preghiera che è stata capace di riempire il silenzio di quei tanti minuti, con i quali tantissime persone e fra questi tanti “pulcini” sui campi da gioco hanno espresso la loro partecipazione, che se rimanessero solo tali potrebbero correre il rischio di diventare a loro volta delle voragini interiori nelle quali lo sgomento non troverebbe appello ascoltabile presso nessuna forma di speranza né umana né divina. 

 

 

Al centro la Parola, quella di San Paolo ai Tessalonicesi con la quale non siamo rimasti nell’ignoranza circa “coloro che sono morti”, compreso Giovanni. Ci rivedremo. Vivi. È una promessa. Di Gesù. Ed in secondo luogo quella parabola eterna che Papa Francesco aveva messo al centro della sua lettera Fratelli Tutti (nn. 56-86): il buon Samaritano, una parabola evangelica e proprio per questo profondamente ed autenticamente umana nella quale possiamo riconoscere che

se in questa storia il buon samaritano non è passato per prevenire che Giovanni venisse salvato, che il buon samaritano è stato assente, dall’altra lo può e deve risvegliare dentro di noi, non solamente in modo occasionale sull’onda emotiva di questo dolore, ma come atteggiamento di un nuovo legame sociale dove la compassione per il dolore dell’altro è chiamata ad essere scoperta o riscoperta come autentica virtù civile, posta a fondamento del nostro vivere insieme.

 

Affinché non ci siano altri Giovanni perché anche uno solo è stato decisamente troppo. Un nuovo legame sociale che non riduca mai le persone a cose, come forse Giovanni è stato ridotto non solo dalla sua armata mamma, ma anche da coloro che avrebbero dovuto unire tutti e meglio i puntini di questa certamente enigmatica e complessa vicenda famigliare, senza riuscirci a pieno. Un nuovo legame sociale che non si accontenti nemmeno di trovare, ora e troppo tardi il colpevole, come se si volesse andare in cerca di Giuda per “risolvere” l’omicidio di Cristo e darsi pace, ma per capire aldilà di quelle che saranno le responsabilità personali che andranno accertate, le falle di un sistema preventivo che, forse, per la vita e la sua complessità attuale non è pienamente rispondente alle necessità né in termini di mezzi, sia finanziari che umani impegnati,  né in termini di protocolli applicati. Qui entrano in gioco la politica che ha il compito di legiferare non solo affinché il male sia evitato ma anche perché il bene possa essere compiuto fino in fondo senza trovare nemmeno nell’istituto della privacy, alla fine, un alibi socialmente accettato che ci legittima a farci gli affari propri, a vedere ma a non guardare perché non ci riguarda come hanno fatto il levita e il sacerdote della parabola ed infine a non prenderci cura, essendo stati legittimati all’indifferenza verso il male altrui.

Ed infine la carità. Per sostenere la famiglia di Giovanni in questo momento di difficoltà, per essere tutti un po’ come il buon samaritano che si fa prossimo a chi sta soffrendo e per aiutare soprattutto papà Paolo in questo momento così faticoso, la parrocchia dei Ss. Giovanni e Paolo ha lanciato una colletta pubblica “In memoria di Giovanni Trame” al fine di aiutare la sua famiglia ad affrontare le spese che inevitabilmente dovrà sostenere in questa dolorosa circostanza. I funerali del piccolo Giovanni saranno celebrati nel Duomo di Muggia martedì 25 novembre alle ore 11.

don Andrea Destradi
parroco della parrocchia dei Ss. Giovanni e Paolo – Muggia

 

Foto: Luca Tedeschi

 

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