Ogni consulente finanziario sa che la disponibilità ad investire va di pari passo con la propensione al rischio dell’investitore. Nessuno di noi, infatti, sceglierebbe di investire un capitale sentendo di mettersi sulle spalle una dose di rischio maggiore rispetto a quello che sente come tollerabile: impegnare parte del patrimonio, frutto di lavoro e sacrifici, non è qualcosa che si può fare sentendosi sotto pressione. C’è bisogno di avere le informazioni più ampie e precise, un tempo adeguato per ponderare tutto e, infine, l’energia per decidere. Per la vita delle persone, le cose funzionano più o meno allo stesso modo. Una persona che vive una situazione di instabilità e di rischio costante di certo non deciderà di investire su di sé o sul proprio futuro se le sue energie vitali sono totalmente impegnate nella sopravvivenza. Chi di noi, infatti, sapendosi costantemente in pericolo, non avendo il necessario per vivere e nemmeno una rete di sostegno sarebbe in grado di progettare la propria vita per l’oggi o per il domani? Probabilmente nessuno.
Così è per le persone che vivono situazioni di grave marginalità: persone migranti e richiedenti asilo, persone senza dimora, persone che vivono la realtà della strada, ogni giorno e ogni notte. Persone che sono esposte a rischi e pericoli costanti, che giungono in città o sono stanziali sul territorio, con alle spalle esperienze e situazioni personali molto pesanti e traumatiche. Persone che spesso sono costrette a guardare solo all’oggi perché sopravvivere fino a domani può essere già un’impresa titanica e per pensare al dopo non hanno proprio energie disponibili.
Sono queste le persone alle quali Spazio 11 – la Sala d’attesa solidale attiva da nove mesi a Trieste, al terzo piano dello stabile di via Udine 11, grazie al progetto della Caritas diocesana nato in collaborazione con Donk Humanitarian Medicine odv e l’Agenzia Onu per i Rifugiati – UNHCR – ha offerto in questi mesi di apertura l’opportunità di una sospensione temporanea del rischio: un luogo nel quale poter respirare, riposare, parlare ed essere ascoltati, sentirsi chiamare per nome e ricevere un accompagnamento professionale grazie all’azione congiunta di volontarie e volontari, medici e esperti di questioni legali.
Si tratta di uno degli impatti non visibili che questo progetto ha generato. Perché i numeri possono contare – è una questione matematica e statistica e ci può stare – ma le persone con il proprio capitale umano, unico e irripetibile, contano di più. Se da una parte è vero che da Spazio 11 in nove mesi sono passate più di 5mila persone, che per lo più sono persone in transito da Trieste verso altre mete, è anche vero che, in modo inatteso, sono passate da qui anche persone che si trovano già sul territorio cittadino in modo stanziale e che vivono la marginalità nella dura realtà della strada, senza una dimora e senza poter godere dell’assistenza sanitaria di base. Sono le loro voci, ascoltate nel corso delle notti in sala d’attesa, a dire che Spazio 11 è un investimento di valore: perché sono loro a definirlo uno “spazio sicuro” nel quale “ci si sente liberi”, nel quale si può “scambiare una parola con gli operatori” e nel quale si viene “chiamati per nome” e ci si può “sentire di nuovo persone”. Uno spazio nel quale le persone – potendo respirare, fermarsi, riposare e avere qualcuno che si prende cura dei loro bisogni primari, che le ascolta, offre loro cure sanitarie e informazioni legali – riescono ad allargare il loro sguardo e provare, un passo alla volta, a immaginare un futuro possibile.
Secondo i dati diffusi in occasione della Conferenza Stampa del 1° dicembre scorso, tra le persone transitate in questi mesi, sono ben 50 le nazioni da esse rappresentate – ciò che restituisce Spazio 11 come una vera e propria “finestra sul mondo” – con una prevalenza di uomini di età compresa tra i 18 e i 40 anni. Ma vi è anche una significativa presenza di donne e bambini che, particolarmente fragili, necessitano di adeguata protezione e attenzione. Oltre 950 le visite mediche effettuate nell’ambulatorio interno dai medici volontari di Donk. Circa 250 i minori stranieri non accompagnati indirizzati a Spazio 11 dall’UNHCR e informati sui propri diritti.

«Spazio 11 è nato per la collaborazione tra la Caritas, e dunque la Chiesa di Trieste, con l’UNHCR e l’Associazione Donk, ma costitutivamente è aperta anche a tutte le altre persone e realtà che condividono l’urgenza di costruire una città solidale e capace di alleviare le sofferenze delle persone» ha dichiarato il Vescovo di Trieste, monsignor Enrico Trevisi «mi piace sottolineare che Spazio 11 è pure un bene della città:
sia perché esprime il volto bello della collaborazione solidale di diverse realtà del nostro territorio, sia perché tante persone vulnerabili vengono accudite e sottratte al pericolo di cadere nell’influsso malefico della criminalità capace di approfittare di chi si sente senza alcun appoggio.
Spazio 11 lo interpreto un vantaggio per la città anche per la presenza di Donk e dunque di medici che visitano le persone che transitano da Trieste alleggerendo il Pronto Soccorso e dunque diminuendo le code che spesso affliggono coloro che vi ricorrono. Ciascuno può contribuire a creare un tessuto solidale nella nostra città, spesso afflitta da solitudini, paure, povertà. Tante sono le persone che si trovano ad essere bisognose di una parola, di un piacere, di un’attenzione: si tratta di persone, non di problemi! Tra le diverse possibilità c’è anche quella di sostenere le iniziative della Caritas e di diventare volontari». «Quando, insieme a Donk Humanitarian Medicine e all’UNHCR, abbiamo pensato a Spazio 11, avevamo in mente un luogo semplice, ma necessario: uno spazio dove chi non ha nulla potesse trovare almeno un po’ di calore, accoglienza e ascolto» ha sottolineato padre Giovanni La Manna, direttore della Caritas diocesana di Trieste «a nove mesi dall’apertura, possiamo dire che
Spazio 11 è diventato molto più di questo. È diventato una casa temporanea per centinaia di persone ogni notte. Ognuno di loro porta una storia di fatica e di speranza, ma anche un desiderio forte di dignità. E il nostro compito è proprio questo: restituire dignità, accompagnare le persone, ridare loro fiducia nel presente e nel futuro. Spazio 11 dimostra che quando le istituzioni, le associazioni e la comunità locale si uniscono, nascono progetti concreti e credibili, capaci di rispondere ai bisogni reali senza distinzione di origine, credo o condizione.
Lo facciamo senza fondi pubblici, con l’aiuto della Fondazione CRTrieste e grazie alla generosità di tanti volontari che ogni giorno scelgono di “stare accanto”. Trieste può e deve essere una città che accoglie, che si prende cura, che costruisce relazioni. E Spazio 11 ci ricorda che questo è possibile, ogni notte, una persona alla volta».
Spazio 11 si propone, quindi, alla Città di Trieste come un luogo aperto e accessibile che è snodo cruciale di protezione fisica, sanitaria e legale per le persone in transito, nel quale ogni notte si produce una “micro-normalità”. Un punto di riferimento, ma anche un laboratorio di incontro e prossimità.
Un investimento ad alto tasso di umanità, nel quale il rischio – che fa vivere queste persone in uno stato di costante paura e allerta – non viene eliminato, ma viene reso temporaneamente sopportabile.
Per permettere loro di vedersi restituita la propria dignità, di riconnettersi alle proprie risorse personali e di aprirsi a nuovi orizzonti e nuovi percorsi. Ben più di quanto si sarebbe potuto immaginare al momento della sua progettazione e apertura.
Luisa Pozzar
Foto di Luca Tedeschi
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