Basovizza: la solidarietà all’ombra del tiglio

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Laddove la politica doveva ancora arrivare, la gente di Basovizza vi era già arrivata da anni.

Il Comune di Trieste, nella parte più a levante dell’altipiano, ha un Rione che confina con la Slovenia.

Si tratta di Basovizza, un piccolo paese conosciuto dai Triestini che lo attraversano ogni giorno per fare benzina a buon prezzo verso Lokev, oppure per una sosta al bar per gustare le creme carsoline, dopo una gita sul vicino Monte Cucusso o, ancora, per un pranzo di carne all’ombra del tiglio, nella locale trattoria secolare.

Pochi si chiedono però la storia di quel luogo e le sue genti, tranne che per la foiba e il monumento ai fucilati di Basovizza, dove il tenersi per mano tra i due Presidenti, Pahor e Mattarella, uno sloveno e uno italiano, ha recentemente sancito una riappacificazone ufficiale con il passato.

Il Paese, storicamente, era un luogo di allevamento di piccoli contadini allevatori, per lo più bovini, con i prodotti, soprattutto il latte, che venivano venduti poi in città. Non erano grandi allevamenti, erano di tipo familiare, con pochi capi per famiglia. L’acqua, inoltre, era scarsa e scorreva, come lo fa tutt’oggi, sottoterra e quindi si crearono cisterne, pozzi per raccogliere l’acqua piovana e addirittura preziose ghiacciaie.

Una vita quindi povera, soggetta a periodi di siccità, che cervava di cavarsela con quello che offre il territorio, non essendo il terreno predisposto per vigne, come in altre zone del Carso.

C’era talmente tanta povertà che nelle famiglie mancavano i soldi per le incombenze funebri, quando moriva un familiare, oppure se una bestia si ammalava era come se oggigiorno ci asciugassero il conto corrente bancario, all’improvviso.

Ed è in questa situazione che gli abitanti hanno dimostrato che nessuno si salva da solo e che con l’unità si può sperare in un futuro migliore: si sono quindi ingegnati in metodi solidali, famiglia con famiglia. Ed ecco nascere nel 1909 l’“Associazione di mutuo soccorso funerario” in cui i soci versavano una quota periodica e in cambio, quando capitava il decesso di un familiare, tutto veniva predisposto gratuitamente dal Circolo con cura, dalla veglia fino alla sepoltura.

Altro esempio di solidarietà concreta: la “Mutua associazione del Bestiame” nata nell’anno 1898. Essa dava ai contadini la possibilità di assicurare il bestiame, sopratutto mucche, per i problemi dovuti a malattie, furto o altri eventi accidentali. In cambio, questa istituzione chiedeva un piccolo contributo annuale e si organizzavano anche tombole o feste paesane per integrare le entrate.

Stagno carsico con vacca, di Elio Polli anno 1965 (scattata dal padre).

Per gestire i boschi e il prezioso legname, fonte di riscaldamento e materia prima, vennero istituite le “Comunelle”, una comunità di persone che gestiva assieme i terreni collettivi, appartenenti al villagio. Coloro che avevano l’obbligo e il diritto su di essa erano definiti “Jusarji”.

La ricchezza di Basovizza è consistita poi, nei secoli, nei cori, numerosissimi, tutt’oggi attivi, da quello partigiano a quello parrocchiale: esempi di socialità e vivacità culturale slovena, a volte nati dai giovani che desideravano incontrarsi.

È evidente il ruolo centrale della Parrocchia, sempre luogo di fraternità evangelica. Emblematico il periodo fascista, in cui fu vietato l’uso della lingua slovena. Nella Chiesa risiedeva l’unico luogo autorizzato ufficialmente al canto in sloveno, segno di protezione dell’allora Vescovo di Trieste e Capodistria e garanzia di libertà di culto multietnico.

Al termine del secondo conflitto mondiale, restaurata ufficilamente la libertà per la lingua slovena, sono inziati ad arrivare in Carso i primi nuclei familiari italiani. Da qui l’apertura della Parrocchia alla formazione religiosa, sia in lingua slovena, sia in lingua italiana. Esemplare la fiducia dei Parroci che affidarono ruoli di responsabilità anche ad esuli dall’Istria che volevano inserirsi nella Comunità, con spirito di comunione e rispetto reciproco.

Laddove la politica doveva ancora arrivare, la gente di Basovizza vi era già arrivata da anni.

Erik Moratto

Foto tratte da gruppo Facebook “Misteri e Meraviglie del Carso”. La fotografia con il prato è di Dario Laghi


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