Le Settimane Sociali dei Cattolici Italiani: che cosa resta di Trieste?

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Tra lasciti tangibili e prospettive future: il processo sinodale, le reti locali e l’eredità di un evento che ha superato la formula convegnistica.

Che cosa rimane delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani? L’evento, celebrato tra il 3 e il 7 luglio scorso, ha animato le vie e le piazze della città in modo visibile e molto apprezzato, a giudicare dalle 7000 iscrizioni registrate dalla webapp (a cui si aggiungono senz’altro i molti che non hanno utilizzato lo strumento digitale), ma trascorsi alcuni mesi occorre iniziare ad esaminarne il lascito.

Alcune risposte sono probabilmente scontate: rimane la visita del Papa, con le sue parole di incoraggiamento e di riconoscimento della “vocazione” all’incontro della nostra città. Rimane il lungo intervento del Presidente Mattarella, che qui a Trieste ha lasciato quella che alcuni hanno salutato come la sua più completa ed ampia lezione sulla Democrazia.

Rimane però anche molto altro.

Anzitutto rimane, nell’immaginario nazionale, il nome della città.

Trieste è stata apprezzata per l’accoglienza, per la logistica raccolta (ed efficace, grazie agli sforzi dell’organizzazione e all’apporto generoso dei volontari) che ha consentito di godere dell’ambiente urbano, delle sue piazze, di una bellezza architettonica che in poco spazio raccoglie epoche e stili diversi. Una città da ritornare a visitare a detta dei tanti tra i mille delegati che non la conoscevano.

Ma Trieste rimane anche perché ne porta il nome la “rete” nazionale degli amministratori locali che si è costituita a margine dei lavori, dando prima espressione al desiderio – diffuso tra quanti si impegnano attivamente in politica – di superare solitudini e frammentazioni, che spesso impediscono alle intuizioni radicate nel pensiero sociale cristiano di tradursi in azioni condivise per il bene comune. C’è da augurarsi che questo riferimento al nome rimanga nel tempo: è una “geolocalizzazione” che può connotare anche in modo simbolico gli sforzi in direzione dell’incontro tra le diverse sensibilità.

Rimangono anche aspetti forse meno evidenti al pubblico esterno, ma salutati con favore da chi ha vissuto molte edizioni delle Settimane Sociali, e ha apprezzato una metodologia di lavoro nuova, improntata ad una partecipazione reale delle persone ad una riflessione corale. La Settimana Sociale si è inserita pienamente nel solco del cammino sinodale della Chiesa cattolica, sperimentando soluzioni innovative immaginate per consentire a un numero elevato di persone – più di mille – di mettere a frutto le proprie visuali e competenze, di praticare un ascolto reciproco bilanciato, di cooperare per raggiungere delle convergenze chiare e sintetiche. Da questo lavoro sono emerse 20 raccomandazioni per sostenere la partecipazione alla vita democratica, 10 più rivolte all’ambito sociale e 10 all’ambito politico, alla cui luce Delegati e Delegate hanno elaborato circa 250 proposte concrete. Come accade in ogni sperimentazione non sono mancate alcune difficoltà di tipo operativo, che tuttavia hanno consentito da subito di affinare la metodologia e di immaginarne ulteriori applicazioni, specie nelle pratiche di consultazione diffusa e popolare su temi di interesse civile e politico.

Rimane, ancora, la consapevolezza che si è superata la formula delle Settimane Sociali come evento convegnistico mentre è maturata quella di un processo di studio, di elaborazione e di confronto di livello nazionale sui temi della promozione del Bene Comune. Anche il passaggio dall’evento al processo aperto non può considerarsi compiuto ma, piuttosto avviato: era questo l’auspicio formulato anche dal precedente Comitato Scientifico e Organizzatore, che già aveva introdotto modalità più coinvolgenti, che sono potute maturare nella cinquantesima edizione ma che ora chiedono di essere ulteriormente sviluppate.

Ogni territorio, anche attraverso i materiali che sono stati rilasciati recentemente per proseguire le attività (sono reperibili sul sito www.settimanesociali.it), ha ora il compito di chiedersi cosa rimane da tradurre localmente in pratica, come frutto della Settimana Sociale di Trieste e della riflessione sulla partecipazione alla vita democratica. Trieste può alimentare “il sogno di una nuova civiltà fondata sulla pace e sulla fraternità” – come ha detto Papa Francesco –: quello di contribuire a creare più coesione sociale, più giustizia, più senso di solidarietà, più soluzioni politiche alle diverse forme della povertà, più sostegno alle fragilità contemporanee, è un appello che i cattolici non possono non sentire come rivolto in primis a loro, perché di Trieste, parafrasando Umberto Eco, ciò che rimarrà non sia soltanto il nome.

Giovanni Grandi


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