Una riflessione sull’Anno Santo

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scaramuzza giubileo
In un tempo di crisi, l'Anno Santo ci invita a riscoprire la grazia divina come segno di speranza e redenzione, trasformando la nostra realtà umana con l'amore di Cristo.

Sorprende come la Chiesa possa indire un Anno Giubilare, un Anno Santo in questo momento storico di tante incertezze, dove all’orizzonte appaiono piuttosto nubi, venti di guerra, allarmi per catastrofi naturali e non. Come possiamo in tutto questo riconoscere l’Anno di grazia del Signore? Forse la fede ci sta chiedendo di proiettarci verso una “grazia” che corrisponde ad una fuga da una realtà così impegnativa?

Spesso dinanzi alle fatiche della vita, a quanto non riusciamo a comprendere o ad accettare riconosciamo che le parole del salmo descrivono bene i nostri pensieri e sentimenti: «Forse Dio ci respingerà per sempre, non sarà più benevolo con noi? È forse cessato per sempre il suo amore, …? Può Dio aver dimenticato la misericordia, …?» (Salmo 77, 8-10).

Sono molte le pagine della letteratura, della filosofia, che riprendono questo dramma, il dramma dell’uomo di sentirsi abbandonato da Dio, costretto alla sofferenza dinanzi alla insensibilità di Dio per la sua sorte. Da qui deriva il negare l’esistenza di Dio o, fenomeno più recente, creare un dio a propria misura personale, che spesso si dedica esclusivamente a noi stessi.

Confrontarci con il testo biblico ci aiuta a riscoprire importanti elementi di fede.

Nella proclamazione dell’anno giubilare nell’Antico Testamento Dio mostra una caratteristica fondamentale del suo essere: egli è il Signore della storia. Nel libro del Levitico leggiamo: «Dichiarate santo il cinquantesimo anno e proclamate la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia…. non farete né semina, né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate… In questo anno del Giubileo, ciascuno tornerà in possesso del suo… Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria e si vende a te… Ti servirà fino all’anno del Giubileo; allora se ne andrà da te con i suoi figli, tornerà nella sua famiglia e rientrerà nella proprietà dei suoi padri… » (Lv 25,10.11. 13. 39-41).

Dio segna i tempi, quelli di lavoro e di riposo, ridisegna la storia proclamando la liberazione, restituendo le proprietà, rimettendo i debiti. L’evolversi delle vicende storiche nel ritmo degli anni giubilari si china e riconosce il primato di Dio, Signore della storia. In questo modo l’umanità fa spazio alla grazia.

Nel Nuovo Testamento Gesù si presenta come colui che porta a compimento l’Antico  Giubileo. Il Signore della storia entra in essa e dall’interno ne svela il mistero e la conduce al suo fine. Gesù non è solo colui che siamo chiamati ad imitare, questo lo renderebbe ancora lontano dalla nostra vita e noi ci crederemmo capaci di procurarci la salvezza da soli. Nel dono dell’Incarnazione Dio è venuto per condividere con noi ogni momento della vita. Egli sa cosa vuol dire essere uomini, conosce aspirazioni, paure, fragilità, ma anche sa stupirsi per tutto ciò che l’umano è, può e sa fare. Il Concilio Vaticano II nella Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GS 22 insegna: «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo ha amato con cuore d’uomo…egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato (cfr. Eb 4,15)».

Infatti Egli non ha peccato, ma il nostro peccato lo conosce bene, perché lo ha preso su di sé. Per venire a cercarci è entrato nella morte: Colui che è la Vita accetta di entrare nella morte per cercarci. Può questo Dio non essere interessato alle vicende umane?

Per l’uomo di fede la risposta è un chiaro no, ma quante volte anche l’uomo di fede incontra prove su questo cammino.

Nel dono dell’Incarnazione la realtà umana si riconosce visitata e nulla di ciò che appartiene all’uomo risulta estraneo a Dio. In Cristo il mistero di Dio e dell’uomo si ritrovano uniti. In Lui l’umanità raggiunge la sua perfezione, tanto che il Concilio Vaticano II ci insegna: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo». (GS 22).

Nel dono dell’Incarnazione la realtà umana non può essere più pensata separata dalla grazia, ma porta il sigillo di un amore divino che non ha esitato ad assumerla e a portarla alla sua pienezza nella figliolanza, nel trasformarla rendendola capace di donarsi per amore, come ha fatto Gesù verso di noi e aprendola ai beni futuri nel dono della resurrezione.

Allora l’Anno Santo, pur in un contesto incerto, forse anche di delusione per le vicende umane, rimane occasione per scoprire la profondità della nostra esistenza, per aprirci a quella grazia che attende di modellare il nostro vivere, di poterlo guidare, di portalo all’autenticità. Questo grande evento religioso di conversione, di remissione dei peccati, di un più frequente accostarci ai sacramenti, alle opere di misericordia, ci porti a scoprire che siamo visitati dalla grazia ed è questo il vero motivo della nostra speranza.

Cristina Scaramuzza

Foto Siciliani – Gennari/SIR


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