Questa domenica, nell’ambito dell’Anno Santo in corso, si celebra il “Giubileo del Mondo del Volontariato”, e non occorre scomodare forzati concordismi a tutti i costi per riconoscere il profondo legame tra la sensibilità sociale nella gratuità volontaria – che peraltro è una delle anime più belle del senso del Giubileo nella Bibbia – e la prima lettura della Messa di oggi.
Il brano del Deuteronomio che viene proposto dal Lezionario odierno in questo anno C, infatti, è il cosiddetto “Piccolo Credo” della fede israelitica, posto a conclusione del “codice deuteronomico” e inserito nel cerimoniale liturgico di una offerta primaverile delle primizie. Se già ogni anno la Quaresima, essendo per così dire una “decima” dell’anno offerta a Dio in primavera, si trova ben intonata con questa pericope, ciò vale in modo speciale per un anno giubilare. Il Giubileo biblico, infatti, è festa del riposo della terra, è ringraziamento a Dio per il dono della terra, è celebrazione della liberazione dalla schiavitù, è gioioso pellegrinaggio orante e adorante: tutti temi tipici che si ritrovano ben espressi anche in questo celebre “Piccolo Credo”. Riflettere sul servizio umanitario svolto dal mondo del volontariato, in questa domenica, ci riconduce alla natura autentica dei riti giubilari e della professione comunitaria della fede d’Israele.
Come notato da alcuni esegeti, pur essendo una solenne confessione di popolo, recitata in contesto cultuale, questo “Credo” è più propriamente formulato in forma di “Anàmnesi”, cioè non tanto in articoli di fede, bensì come una narrazione storica dei principali eventi identitari impressi nella memoria d’Israele: il popolo ebraico definisce così la propria fede nel Dio dei padri non come dichiarazione dogmatica su di Lui, ad esempio elencando attributi divini, ma come commemorazione grata di quanto Egli ha operato nella storia del popolo stesso. Si tratta di un condensato di “teologia storica”.
Del resto, anche il Simbolo della fede cristiana, esemplificato soprattutto nel Credo apostolico e in quello niceno-costantinopolitano, descrive l’articolo di fede riguardante Cristo in forma narrativa, ripercorrendo le vicende della sua vita, anziché indugiare su speculazioni metafisiche o dottrinali.
Così, il “Piccolo Credo” ebraico sa che si può parlare di Dio soltanto narrando quanto Egli ha manifestato nel suo rapporto con l’umanità, dimostrando la sua compassione e la sua grazia, ascoltando la voce del popolo e liberandolo dall’oppressione, riscattandolo dalla schiavitù e donandogli la terra.
Questo brano armonizza la memoria grata a Dio per i suoi benefici e la gestualità dell’azione benevola verso i fratelli poveri, in una sintesi che ricorda la legislazione sul sabato (fondata sul rispetto di Dio e al contempo sul diritto sociale al riposo lavorativo).
Solenne è l’“Oggi” col quale il fedele attualizza il “Piccolo Credo” ogni volta che rinnova questa offerta rituale, come se ogni volta egli ripetesse nuovamente il proprio ingresso nella terra ricevuta da Dio, eredità conquistata ma mai totalmente posseduta.
Chi crede in Lui non sarà deluso (Rm 10,8-13)
Il paragrafo della grande Lettera paolina ai Romani proclamato nella Messa di oggi potrebbe essere definito quasi come un piccolo mosaico policromo, i cui tasselli sono costituiti principalmente da una notevole concentrazione di versetti mutuati dall’Antico Testamento, abilmente affiancati e incastonati fra loro tramite il sottile impasto della loro interpretazione cristologica.
Paolo riconduce a Cristo la spiegazione dei versetti che egli estrae dalle tre parti delle Scritture ebraiche (Legge, Profeti, Scritti), e trova in Cristo la chiave di lettura che li illumina svelandone il significato più profondo: citando in poche righe Levitico e Deuteronomio, il Salterio, Isaia e Gioele, l’apostolo dà vita a un’architettura nella quale di- sporre sapientemente alcune prove che l’antica alleanza annuncia, e prepara la nuova fede in Cristo.
Questa pericope, del resto, è collocata al centro della sezione della Lettera costituita dai capitoli dal 9 all’11, che intende definire una sintetica teologia del misterioso progetto divino su Israele nell’ambito del più ampio compimento comprensivo della conversione dei pagani. Partendo dalla chiamata dei patriarchi, passando dal dono della legge, e culminando nell’attesa dei profeti, Paolo ricostruisce la storia dell’amore per il popolo eletto fino alla restaurazione finale che vedrà finalmente riconosciuto e creduto Cristo da tutte le genti.
Il diamante più prezioso di tale grandioso mosaico è posto proprio al centro della pericope proposta nella liturgia di oggi: la confessione di fede salvifica in Cristo, Signore Risorto. Si tratta di una dichiarazione solenne, in uno stile per così dire “magisteriale”: «Perché se con la tua bocca proclamerai: “Gesù è il Signore!”, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo» (Rm 10,9).
L’apostolo coinvolge bocca e cuore in una professione di fede che garantisce l’autentica ortodossia e la sicura via verso la salvezza per tutte le generazioni a venire, e che riassume in un solo versetto l’identità cristiana che rimarrà immutata attraverso tutti i secoli.
A sostegno di tale chiave di volta, Paolo pone due pilastri simmetrici attinti dalle profezie dell’Antico Testamento: «Chiunque crede in lui non sarà deluso» (Is 28,16) e «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato» (Gl 3,5), appunto come contrafforti rispettivamente della fede del cuore e dell’invocazione della bocca.
Il cammino quaresimale, da sempre privilegiato percorso di intensa preparazione battesimale, fa tesoro di queste perle preziose che sin dall’età apostolica sostengono immancabilmente la vita di fede di ogni credente.
Se tu sei Figlio di Dio (Lc 4,1-13)
Nella storia della liturgia, i Vangeli proclamati nelle domeniche di Quaresima seguono sempre lo schema fisso della tradizionale catechesi prebattesimale, concepita per mediare didatticamente la formazione degli “eletti” a essere “illuminati” col sacramento d’ingresso nella comunità cristiana, che è difatti il vero e proprio “sacramento della fede”.
In tale ottica, com’è noto, la prima domenica viene dedicata all’episodio delle tentazioni di Gesù nel deserto, narrato nei tre Vangeli sinottici: in Marco con l’accenno sommario al fatto che Gesù è stato tentato dal diavolo, in Matteo e Luca anche con una drammatizzazione dialogata di tre specifiche tentazioni.
L’ordine di queste tentazioni scelto dalla presentazione lucana, che è quella riportata nel Lezionario di quest’anno, presenta un’inversione delle ultime due tentazioni rispetto a Matteo, in modo da farle culminare col riferimento a Gerusalemme, luogo (non soltanto geografico, ma anche teologico) caro a Luca come fulcro di tutta la vicenda di Gesù.
Il testo evangelico informa sulla durata del tempo trascorso da Gesù nel deserto: Egli, dopo il battesimo presso il fiume Giordano, viene sospinto e guidato dallo Spirito Santo verso questa prova in solitudine e digiuno per quaranta giorni, prima di inaugurare il ministero pubblico della sua predicazione.
La Quaresima, dunque, ricalca direttamente quel tempo della vita di Gesù, e asseconda l’attenta simbologia numerica biblica: il numero 40, anche nell’Antico Testa- mento, associato a una durata cronologica, indica sempre un periodo di attesa e preparazione a un evento importante.
In tal senso vanno letti i 40 giorni del diluvio universale in attesa della prima al- leanza divina con Noè (cfr. Gen 7-8), i 40 giorni di Mosè sul monte Sinai digiunando in attesa del dono divino della Legge sia la prima che la seconda volta (cfr. Es 24 e 34), i 40 giorni dell’avanzata di Golia prima dello scontro mortale con Davide (cfr. 1Sam 17), i 40 giorni del cammino di Elia per raggiungere l’Oreb e incontrare Dio (cfr. 1Re 19), i 40 giorni dell’azione simbolica chiesta da Dio a Ezechiele come profezia sull’espiazione delle colpe di Gerusalemme (cfr. Ez 4), o ancora i 40 giorni del preavviso sulla distruzione di Ninive (cfr. Gio 3). In proporzioni amplificate, moltiplicando un giorno per un anno, è poi emblematico l’evento fondamentale dei 40 anni di esodo nel deserto prima del dono della terra promessa.
Così, l’inizio del ministero di Gesù è preceduto da una preparazione la cui durata riassume, completa e contiene in sé tutte le attese della millenaria fede d’Israele. A sua volta, dopo la sua Resurrezione, altri 40 giorni occorreranno ai discepoli per imparare a focalizzare la propria attenzione sull’attesa ultima e definitiva: il ritorno glorioso di Cristo, ormai asceso alla destra del Padre (cfr. At 1,11). Così, la simbologia numerica quaresimale ci ricorda anche questa che è la più grande speranza cristiana, e ci rende consapevoli di essere sempre “pellegrini di speranza”.
A cura dell’Ufficio Liturgico Nazionale
Duccio di Buoninsegna
predella Maestà del Duomo di Siena (1308-11)
New York – Frik Collection