Uno dei principi cardine della fisica moderna è il principio di località, secondo cui ciò che accade in un punto dello spazio in un determinato istante non può influenzare istantaneamente ciò che accade altrove: è necessario del tempo affinché l’informazione si propaghi. Oggi questa affermazione può sembrare quasi paradossale, perché viviamo in un’epoca in cui siamo tutti costantemente connessi, in grado di sapere in tempo reale cosa accade in qualsiasi parte del mondo. Questo è possibile perché l’informazione viaggia attraverso fibre ottiche e satelliti, propagandosi alla velocità della luce, che è estremamente elevata rispetto alle esperienze quotidiane. Se però proviamo a immaginare o a ricordare com’era la vita 50 o 100 anni fa, ci rendiamo conto che era normale attendere giorni o addirittura mesi per ricevere notizie da un amico o da un parente lontano.
Il principio di località è fondamentale perché rappresenta una delle basi del metodo scientifico, esemplificato magistralmente dagli esperimenti di Galileo. Per comprendere un fenomeno, conviene isolare il sistema di interesse dal resto del mondo, metterlo in condizioni ideali e rimuovere tutti gli elementi non necessari, in modo da concentrarsi esclusivamente sul fenomeno da studiare. Questo approccio è alla base della ricerca in laboratorio in fisica, chimica, medicina o biologia.
Guardando oltre, si può anche riflettere sul fatto che il principio di località abbia avuto un’influenza culturale più ampia: può essere visto come un fondamento della moderna tendenza all’individualismo, ovvero quella visione del mondo secondo cui ogni persona è un’entità autonoma, indipendente, capace di costruire la propria identità e il proprio destino senza dover necessariamente dipendere dagli altri o da un contesto collettivo. In questa prospettiva, l’individuo è separato dal resto del mondo, centrato su sé stesso, ed è considerato l’unità fondamentale della società.
Tuttavia, la meccanica quantistica ha scardinato il principio di località. La teoria prevede che due sistemi fisici, come due particelle anche a grandissima distanza tra loro, possano essere correlati: se si misura una proprietà su una delle due particelle, si può determinare con certezza la proprietà dell’altra, come se vi fosse un legame istantaneo tra loro.
Anche nella fisica classica esistono correlazioni di questo tipo: è il caso del gioco della moneta nascosta in una mano. Se si apre la mano sinistra e la moneta non c’è, allora si sa con certezza che si trova nella mano destra. Si tratta però di una semplice informazione mancante, non di un’azione istantanea che coinvolge le due mani.
Einstein utilizzò un ragionamento simile per criticare la meccanica quantistica, sostenendo che fosse incompleta. La teoria infatti fornisce solo probabilità sulle proprietà di una particella, come nel caso classico della moneta in una mano. In aggiunta, e questo è il punto cruciale, la teoria quantistica afferma che queste proprietà non sono preesistenti, ma vengono generate al momento della misura. In questo scenario, misurando una particella si determinano anche le proprietà dell’altra, pur trovandosi a distanza, e anch’esse non preesistenti: questo è un chiaro esempio di non-località. Per Einstein, ciò era inaccettabile: se ciò che faccio qui ha un effetto istantaneo lì, allora qualcosa non torna. Secondo lui, la soluzione risiede nel fatto che le proprietà dovevano esistere già prima della misura, proprio come nel caso della moneta. In base a questo ragionamento, Einstein concludeva che la meccanica quantistica non fosse completa: mancava qualcosa, qualche variabile nascosta che rendesse il mondo nuovamente locale.
Negli anni ’60, il fisico irlandese John Bell, uno dei pensatori più profondi della meccanica quantistica, insieme a Schrödinger e lo stesso Einstein, dimostrò che non era la completezza della teoria il punto cruciale, ma la località stessa. Formulò infatti le famose disuguaglianze di Bell, una serie di relazioni matematiche che permettono di distinguere tra un mondo locale (come quello auspicato da Einstein) e uno non-locale (come previsto dalla meccanica quantistica). Se le disuguaglianze vengono rispettate, il mondo è locale; se vengono violate, il mondo è intrinsecamente non-locale.
Il risultato di Bell risale al 1964. Circa vent’anni dopo, furono condotti esperimenti per verificarne le conseguenze, i più famosi dei quali furono quelli del fisico francese Alain Aspect. I risultati furono chiari: le disuguaglianze di Bell sono violate.
Questo implica che il mondo non è locale, contrariamente a questo auspicato da Einstein. Tuttavia, questa non-località non permette una comunicazione istantanea a distanza (non si può usarla per trasmettere informazioni più velocemente della luce), ma rivela qualcosa di ancora più profondo e misterioso: a un livello fondamentale, tutto è connesso, in un modo che la scienza sta ancora cercando di comprendere.
Angelo Bassi
professore ordinario di Fisica Teorica al Dipartimento di Fisica
dell’Università degli Studi di Trieste
Foto in evidenza: CERN
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