«Se non cambiamo, il cristianesimo diventerà un museo»

Don Armando Matteo, segretario del Dicastero per la dottrina della Fede, lancia un monito ai responsabili della evangelizzazione delle giovani generazioni

Giovani increduli, donne quarantenni in fuga, adulti “Peter Pan”, nella migliore delle ipotesi, o assenti. Don Armando Matteo, 52 anni, teologo, presbitero della Diocesi di Catanzaro-Squillace e attualmente segretario per la sezione dottrinale del Dicastero per la dottrina della fede, è un esploratore delle “fratture” che attraversano la Chiesa cattolica italiana. Sabato scorso era a Vicenza per un incontro intitolato “L’adulto che serve. Tra cambiamento d’epoca e rottura della trasmissione generazionale” organizzato dalla Commissione diocesana per la formazione permanente del clero.

 

Don Armando, perché insiste così tanto sulle “crisi” che attraversano la Chiesa?

«La mia sensazione è che la comunità ecclesiale fatichi ad avere uno sguardo pertinente e realistico sul destinatario del proprio annuncio e sulla condizione di coloro che sono chiamati ad annunciare il Vangelo. Continuo a invitare in maniera pessimistica e martellante a questo bagno di realtà. Se non cambiamo, il cristianesimo diventerà un museo».

Cosa va cambiato, secondo lei?

«La verità è che la struttura pastorale attuale è del tutto inadeguata. Tutto ciò che mettiamo in campo non può funzionare, perché è parametrato su una condizione di vita degli adulti che ci siamo lasciata alle spalle. Sebbene la società abbia preso consapevolezza di questa nuova condizione di vita, la comunità ecclesiale mi sembra poco consapevole. Cambiare mentalità pastorale non è affatto semplice, specialmente perché la nostra ha un passato lungo, splendido e carico di successi. Il problema cruciale è che non funziona più. Dobbiamo cambiare, altrimenti facciamo del cristianesimo un museo. È fondamentale rivalutare l’importanza della pastorale, cioè il modo principale in cui comunichiamo il Vangelo».

Dove nota di più questa “inefficienza” della pastorale?

«Il vettore principale della nostra proposta è presentare l’esperienza cristiana come un’esperienza di consolazione, di contenimento per una vita sempre percepita come una tempesta. Pensiamo alle parole di una preghiera come il Salve Regina: “A te sospiriamo, gementi e piangenti, in questa valle di lacrime”. Ma gli adulti di oggi, però, non sono alla ricerca di questo. Hanno una speranza di vita molto lunga, strutture ospedaliere d’eccellenza e non soffrono più la fame. Il loro problema attuale risiede nel come prendere le decisioni in un campo di libertà enorme e come educare i ragazzi».

Quindi ritiene che uno spazio per l’annuncio cristiano ci sia, anche in questa società profondamente cambiata?

«I giovani cercano istruzioni per la vita che non trovano più in famiglia. C’è tanto spazio per il cristianesimo, ma è necessario un cristianesimo diverso. Oggi, i giovani vedono negli adulti solo l’ossessione per il corpo, per il sesso, per il denaro, per il divertimento. Ma il giovane ha bisogno di altre motivazioni per quello che si porta dentro, un motivo per vivere e morire. Invece, noi adulti, a loro, offriamo solo ragioni per tirare avanti fino al prossimo weekend».

Cosa abbiamo di buono da offrire?

«Invece di consegnare ricchezze come la figura di Gesù o l’importanza della preghiera e del ritorno a se stessi, la Chiesa offre celebrazioni dal clima pacato, quasi funebre. Vige ancora l’idea del precetto, non della domenica come giorno di festa».

C’è un problema di dialogo tra generazioni?

«Di fronte ad adulti eternamente giovani, i ragazzi come si devono sentire? Superflui, inutili, sapendo che non ci sarà mai spazio per loro. Questo è un elemento che una religione dovrebbe in qualche misura cogliere e curare. Il punto di partenza è che la comunità deve diventare profetica e iniziare a ragionare sul mondo degli adulti, affinché questi capiscano che il loro compito è fare spazio al mondo giovanile. Serve un’azione profetica e politica. Dobbiamo aiutare i giovani a capire il disagio creato in loro da questa società dell’eterna giovinezza, che contrasta con la loro idea di vita piena».

È in corso il Cammino sinodale delle chiese in Italia. Che contributo si aspetta da questo percorso?

«Nel primo documento sinodale ho notato una scarsa capacità di leggere l’oggi nelle sue radici antropologiche più profonde e, di conseguenza, una timidissima capacità di progettare una pastorale nuova. Non è un caso che il documento sia stato “bocciato” dall’assemblea. Mi auguro che lo shock abbia portato maggiore realismo e coraggio. Il mondo è già cambiato; gli uomini e le donne di oggi sono quasi una specie nuova rispetto agli anni Sessanta. La pastorale del 2026 non può essere una fotocopia di quella del 1960. Non la si inventa in tre giorni, ma se non si inizia, non si arriverà mai a un punto».

Andrea Frison

Foto in evidenza tratta da La Voce dei Berici

6min41


Chi siamo

Portale di informazione online della Diocesi di Trieste

Iscr. al Registro della Stampa del Tribunale di Trieste
n.4/2022-3500/2022 V.G. dd.19.10.2022

Diocesi di Trieste iscritta al ROC nr. 39777


CONTATTI