Algeria, coraggio di restare: Chiesa a servizio di tutti

Il popolo musulmano è il beneficiario delle opere della Chiesa di Orano, in Algeria. La testimonianza di don Davide Carraro

È una sede cattolica circoscritta, piccola ma preziosa, nell’Algeria al 99% di religione musulmana, guidata dal presidente Abdelmadjid Tebboune. La diocesi di Orano, affacciata sul grande porto del Mediterraneo, conta poche centinaia di fedeli in tutto. È suffraganea dell’arcidiocesi di Algeri. La sua peculiarità sta (anche) nel fatto che la regge un vescovo missionario italiano, il primo nella Chiesa d’Algeria.
Per la precisione si tratta di un sacerdote del Pime, Davide Carraro, classe 1977. In occasione del Giubileo dei giovani a luglio scorso, don Davide ha portato un gruppetto di suoi ragazzi a Roma e ha regalato una catechesi “magistrale” sulla virtù del coraggio a tutti i partecipanti riuniti alla Garbatella. È un uomo calmo, ma deciso; pacato e molto consapevole della propria missione che non fa rumore. Offre uno sguardo altro, senza velleità né pretese. “Noi siamo una Chiesa ‘ecumenica’, per un popolo musulmano – mette in chiaro –; le nostre azioni caritative, culturali e ludiche sono rivolte a persone che professano un’altra fede”.

Servizio e gratuità. Ma questo elemento non sminuisce affatto la missione cattolica, tutt’altro, la esalta. Perché, come spiega il vescovo stesso, “c’è molta gratuità nel nostro servizio: è evidente che non c’è alcun interesse o secondo fine”. Non si è in Algeria per convertire o per battezzare, intende il vescovo. Ma per stare. Nonostante alle volte si soffra un certo isolamento. I cattolici sono in totale non più di cinquemila in tutta l’Algeria, pari allo 0,01% della popolazione.Don Davide è convinto però che “se compreso fino in fondo, questo nostro impegno viene apprezzato dalla gente”.E pone l’accento sul se. Le persone sanno, vedono e custodiscono. Vedono l’impegno, la mano tesa, il volontariato cristiano. “La diversità non è sempre apprezzata – ammette il missionario –, ma quando è chiaro che la nostra presenza è tutta nella gratuità, essa non pesa”. Anzi, si dona senza chiedere in cambio nulla.

Dialogo con il mondo islamico. La diocesi di Orano, e la sua parrocchia, hanno il fulcro nella cattedrale di Santa Maria, nel quartiere Sant’Eugenio, che ospita anche il centro Pierre Claverie, ed è molto nota per il servizio e il dialogo con il mondo islamico. Carraro ha scelto come motto episcopale “Dio è amore” – Allahu mahaba, in arabo, e spiega ancora meglio il significato di ciò che intende: “Siamo una Chiesa ecumenica: soprattutto quando lavoriamo con persone portatrici di handicap, i migranti, o in generale con le persone fragili, il nostro impegno viene compreso e apprezzato. E loro stessi, le persone algerine non cristiane, ci aiutano”. E ancora:“In uno dei nostri centri ospitiamo 57 anziani algerini senza casa e senza fissa dimora e i primi ad aiutarci, portando cibo sono proprio i cittadini musulmani”.Il popolo algerino “è un popolo del Mediterraneo, somiglia nell’apertura e la solidarietà, a quello italiano”. Il vescovo ammette che da alcune persone in particolare si sente “capito e amato”. Ma non sempre. “I pochi cristiani vengono tutti da conversioni e sono fermi alla prima conversione, direi dai tempi di Sant’Agostino, che era algerino, fino ad oggi”. Per cui sono ispirati più da un loro desiderio personale che dalla comunità.

L’esperienza dei giovani al Giubileo. Ma cosa ha significato per il vescovo portare un gruppo di giovani a Roma per il Giubileo? “Anzitutto è stato importante far vedere loro una Chiesa diversa: essendo questa una fede non ancora consolidata, non sanno cosa vuol dire pregare assieme, fare del volontariato cristiano; io volevo che vedessero l’impegno collettivo della comunità di Sant’Egidio. Eravamo loro ospiti a Roma e hanno fatto un’esperienza diretta di volontariato. È importantissimo che vedano una Chiesa impegnata. Alla loro fede manca la tradizione, qualcuno che mostri loro il cammino”. Ai giovani delle diocesi italiane riuniti a Garbatella, sotto l’egida di Missio Giovani e alla presenza del direttore di Missio, don Giuseppe Pizzoli, il vescovo questa estate aveva detto: “In Algeria io potrei avere paura, perché come Chiesa siamo piccoli. Ed essere piccoli può spaventare. Ma mi raccomando, che non sia mai la paura a scegliere per voi! Il vantaggio dell’essere una Chiesa di alcune centinaia di persone è che ci si conosce per nome e noi viviamo come una famiglia”. In effetti sta proprio qui la sfida di essere una Chiesa di minoranza in un Paese tanto grande e per certi aspetti lontano dal nostro: fare i conti con le proprie paure, per scoprire infine che non hanno motivo di esistere. O che, pur esistendo, si superano col coraggio.

La capacità di osare. Monsignore Carraro a Roma ha illustrato quattro esortazioni bibliche sul coraggio: quello di osare, di non arrendersi, il coraggio di avere paura e quello di restare nonostante tutto. A proposito del coraggio di non arrendersi, il missionario del Pime ha detto che “a Dio piacciono le persone che insistono. Prendete l’esempio evangelico della donna cananea”, che persevera nella richiesta a Gesù dimostrando una grande fede. “Ecco, si può imparare molto dalla capacità di osare”. Ha poi raccontato il cambiamento dell’Algeria odierna, passata da Paese coloniale legato alla Francia alla versione moderna di un’economia emergente ma ancora molto dipendente dall’export di gas e petrolio. Ricordando che esporta soprattutto gas, di cui è ricchissima e che “sicuramente nelle vostre case usate quello che viene dall’Algeria”, il vescovo ha anche fatto notare che non è semplice decidere di non andarsene.Ci vuole anche coraggio per restare in questo Paese nordafricano, certamente affascinante e molto sui generis nella scena internazionale africana.L’Algeria mantiene una linea diplomatica pragmatica e di non allineamento, realizzando una politica estera di forte autonomia dalla Francia che ha caratterizzato la storia del Paese dall’indipendenza ad oggi. Per i cattolici “restare” significa anche non esporsi troppo e accettare un ruolo marginale, pronti ad assumersi rischi che comunque oggi sono decisamente ridotti rispetto a trent’anni fa.

redazione Popoli e Missione

Il ricordo dei martiri. Inevitabile rievocare i martiri d’Algeria, i quali hanno avuto il coraggio di non andare via, donandosi. Per richiamare quella storia che appartiene a un capitolo recente ma anche lontano da noi, non ci si può dimenticare che diciannove persone vennero assassinate durante la guerra civile algerina (periodo che va dal 1994 fino alla morte del vescovo di Orano, Pierre Claverie, nel 1996). La morte dei monaci trappisti del convento dell’Atlante avvenne nel corso di un rapimento rivendicato da un gruppo armato e terminato con la decapitazione degli ostaggi. “Restare o partire?”: di fronte alla minaccia esplicita fu questa la domanda che si pose Henri Teissier, allora vescovo di Algeri, rivolgendosi a tutte le comunità e a tutti i religiosi. Alcuni partirono, altri decisero di rimanere. “Sono stati beatificati non perché sono morti, ma perché hanno scelto di restare”.

Ilaria de Bonis

Foto in evidenza: redazione Popoli e Missione

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