“Ciò che fa nascere la morale cristiana non è una norma esterna bensì l’esperienza dell’amore di Dio per ciascuno” (Bibbia e morale, n.55). Ma nell’esplicitare gli insegnamenti paolini gli autori della Pontificia Commissione Biblica si chiedono se “Paolo anche oggi scriverebbe in questa maniera, se è vero che una maggioranza dei cristiani forse non ha mai fatto l’esperienza della generosità infinita di Dio nei loro confronti e si trovano piuttosto nella situazione di un cristianesimo puramente sociologico. In questo contesto si pone pure un’altra domanda: se, cioè, nel passare dei secoli si sia creato un distacco troppo grande fra gli imperativi morali, presentati ai credenti, e le loro radici evangeliche”. Nell’auspicare un recupero di quell’originale rapporto con la Buona notizia di Gesù, il documento ancora precisa che “l’agire morale è direttamente fondato sull’unione con Cristo e sull’inabitazione dello Spirito, dal quale esso viene e di cui è espressione. Così, questo agire non è, fondamentalmente, dettato da norme esteriori, ma proviene dal forte rapporto che nello Spirito connette i credenti a Cristo e a Dio”.
Il documento ci porta così a un’importante deduzione: avere cura della propria spiritualità, della propria interiorità più profonda, non è un privilegio per pochi, ma una condizione necessaria. Fra le ragioni che hanno portato a una discrepanza fra prassi religiosa e vita spirituale restano determinanti i passaggi storici della svolta costantiniana e di quella teodosiana, che, istituzionalizzando marcatamente la Chiesa, hanno fatto gradatamente perdere quell’originale identità delle comunità cristiane dei primi secoli. Un capitolo a parte meriterebbero, inoltre, l’influenza e le problematiche implicazioni del pensiero greco e del dualismo anima-corpo.
D’altra parte, la storia della Chiesa potrebbe essere letta anche attraverso tutte quelle personalità e progettualità che via via si sono susseguite per mantenere accesa la luce della fede evangelica, che libera e salva e che si coniuga integralmente alla vita quotidiana. Agostino nelle sue Confessioni ci testimonia che la realtà viva dello Spirito Santo opera in noi e nella storia. Dai Padri del deserto a Basilio e a Benedetto, gli insegnamenti spirituali del monachesimo restano un riferimento certo. Francesco d’Assisi ben può essere definito padre di una spiritualità rinnovata e radicale, vera figura Christi, che trova un suo equivalente nella Russia dell’800 in Serafino di Sarov. Per questo monaco, nel Colloquio con Motovilov, non ci sono dubbi: il vero fine della vita cristiana è l’acquisizione dello Spirito Santo…
Anche il ‘500 è stato un secolo di grande fermento: Erasmo da Rotterdam va ricordato come voce di una riforma interna al cattolicesimo, intesa come ritorno alla Chiesa della Pentecoste di Gerusalemme; Teresa d’Avila con il suo Castello interiore ha saputo essere maestra di spiritualità per molte generazioni di credenti. Ignazio di Loyola ha forse il merito di aver saputo fare la sintesi più sistematica di gran parte di questo patrimonio con gli Esercizi spirituali. Un percorso molto strutturato, una vera scuola di preghiera intesa come dialogo con Dio, fondato sull’ascolto della Parola, la meditazione e la contemplazione (premessa per ogni discernimento), rivolto a tutti nel rispetto delle capacità e delle propensioni di ognuno. In un tempo di grandi sconvolgimenti, il fondatore della Compagnia di Gesù si rese consapevole che per le nuove generazioni di credenti erano necessarie una formazione seria e integrale e una più radicale coniugazione fra fede e vita, fra spiritualità e lavoro, fra devozione, pietà popolare e opere di carità strutturate e ben organizzate. La diffusione degli Esercizi spirituali ci racconta così anche il percorso storico compiuto dal laicato cattolico in Europa. Un percorso che sta a tutti i battezzati di oggi proseguire, se sapranno avere cura della propria spiritualità.

Massimo Gnezda
Foto: Santi e Beati, Wikipedia e Gesuiti.it
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