Tornare alle tradizioni natalizie semplici e autentiche

In ascolto di una testimone eccezionale, la signora Clara Sinigaglia, di 104 anni: tra sorrisi, ricordi di tempi passati e un augurio per l'oggi

Non sempre l’Avvento e il Natale sono stati come li conosciamo e li viviamo oggi. Semplicemente perché i tempi erano diversi. Spesso, infatti, soprattutto per chi è più in là con gli anni, questi periodi dell’anno andavano a braccetto con la povertà, con la guerra e con una minore possibilità di partecipare alle celebrazioni.

«Del Natale mi ricordo che era un momento davvero felice perché si faceva festa» dice sorridendo in un dialetto triestino “patoco” la signora Clara Sinigaglia, 104 anni appena compiuti, uniti a lucidità e gentilezza fuori dal comune, che incontriamo nella sua casa a Trieste «ricordo anche il freddo e la Bora fortissima, che ora, a confronto, è diventata un venticello.

Avevamo tanti dolci da poter mangiare in quella giornata: mio papà che lavorava al Pastificio Triestino ci portava spesso i “biscotti rotti”. Mia mamma preparava le fritole e sistemava sulla napa sopra el fogoler delle pentole vuote con dentro un pezzo di torrone, per farci la sorpresa. Ma io la scoprivo sempre. Il mio dolce preferito era il croccante di mandorle. Di questo ricordo ancora il gusto delizioso».

E al racconto si agganciano altre immagini:

«Prima di tutto facevamo il presepe. Non avevamo molti giocattoli, ma un anno ricevetti in dono un bambolotto di celluloide» ne mima la grandezza «e quando facevamo l’albero, lo mettevo sempre lì sotto. Papà portava a casa un abete piuttosto grande e lo sistemavamo nell’angolo vuoto della cucina. L’ovatta bianca diventava la neve e pinzavamo sui rami, come da tradizione, le candeline di cera che accendevamo la notte di Natale. Puntualmente ogni anno l’albero andava a fuoco»

e nel raccontarlo si fa una grassa risata. Non c’era l’acqua corrente in casa e la tubazione pubblica, dalla quale potevano attingerla, era quasi sempre ghiacciata. Insomma, poche comodità, ma tanta felicità.

Chiediamo, quindi, alla signora Clara di lasciarci un augurio per i lettori: «Se avessi le persone davanti a me, l’augurio mi verrebbe fuori subito e con tante parole, ma senza vedere in faccia le persone, mi è difficile formularlo» dice con franchezza. Un augurio che, con la sua approvazione, traduciamo così: a Natale, o nelle occasioni speciali, torniamo a farci gli auguri di persona, guardandoci negli occhi, stringendoci le mani e dandoci un abbraccio. Saranno auguri dal sapore un po’ antico, ma avranno il gusto dell’autenticità.

Luisa Pozzar

 

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