I social, moltiplicatori di violenza

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Il problema della violenza a scuola e più in generale della violenza tra i più giovani è sempre più un’emergenza, naturalmente educativa prima ancora che di ordine pubblico.

All’inizio di ottobre, mentre il Parlamento aveva appena approvato la riforma della condotta e della valutazione alla Primaria, con il ministro Valditara che sottolineava l’importanza di costruire un sistema scolastico “che responsabilizzi i ragazzi e restituisca autorevolezza ai docenti”, Skuola.net pubblicava un sondaggio che rilevava come nei primi giorni dell’anno scolastico oltre 1 alunno su 10 sarebbe già stato testimone di aggressioni fisiche o verbali tra studenti o verso i docenti.

Per il sondaggio erano stati interpellati 2.800 studenti di medie e superiori, e tra i risultati si evidenziava come nella metà dei casi tra le vittime delle aggressioni ci fossero gli insegnanti: il 6% degli intervistati – sul 13% totale che parla di violenze scolastiche – afferma che l’obiettivo dei bulli era un docente.

Il pensiero torna al sondaggio di inizio anno scolastico proprio in questi giorni quando la cronaca riporta notizie inquietanti: una ragazzina di soli 12 anni che accoltella un compagno proprio a scuola, un’altra che si suicida forse spinta dai bulli. E quante volte si legge di insegnanti in difficoltà.

Il problema della violenza a scuola e più in generale della violenza tra i più giovani – che comprende anche il fenomeno delle baby gang in molte realtà urbane – è sempre più un’emergenza, naturalmente educativa prima ancora che di ordine pubblico.

Nei giorni scorsi sul tema è intervenuto lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet con parole molto dure sulla deriva violenta dei più giovani, allargando il campo della riflessione al tema dell’educazione complessiva, ai ruoli di scuola e famiglia. “Non si dica – ha affermato l’esperto in una intervista, riferendosi proprio al tema della violenza tra i minori – che è una cosa recente, sono cambiamenti in atto da anni, anche decenni, ma di cui non ci siamo voluti accorgere. Lo dico chiaramente, anche a costo di essere considerato retrogrado o peggio: io non penso che a una ragazzina o un ragazzino si debba concedere di fare una seratona, con alcol, droga e sesso. A 13 anni mica diamo la patente per guidare, invece abbiamo dato ai nostri figli la patente di adulto”.

La famiglia? “Non c’è più”. Questa la constatazione sconfortante. “I genitori non sanno cosa fare, l’unica cosa che hanno capito è che bisogna concedere tutto ai figli, aprire totalmente la diga. I genitori di questi dodicenni hanno 40-45 anni, e sono i peggiori della storia, perché sono cresciuti con l’idea che mettere limiti è una cosa riprovevole, che va agevolata la vita dei ragazzi in tutti i modi”.

E la scuola? “È sparita come la famiglia”. Professori intimoriti, emarginati, derisi, diventati loro stessi oggetto di violenza.

Per Crepet tra i “moltiplicatori” di violenza oggi ci sono soprattutto i social. “Credo – ha aggiunto, sostenendo la stessa linea dichiarata dal ministro Valditara e emergente anche in Europa – che i telefonini andrebbero vietati almeno fino a 12 anni”.

Sono riflessioni che provocano e nello stesso tempo preoccupano. Sia perché fanno riflettere su fallimenti che lasciano il segno, sia perché è difficile immaginare che possano portare a soluzioni efficaci. Davvero si possono vietare i telefonini e i social? Chi lo farà? Li lasciamo fuori dalle aule a scuola e poi a casa? In strada? Tra i coetanei?

La questione è aperta. E urgente.

Alberto Campoleoni
(SIR)

Foto di Giovanna Cornelio da Pixabay


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