Prima Messa del Beato Bonifacio

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Dalla sofferenza del martirio alla gloria celeste, nell'anniversario della prima messa solenne del beato don Francesco Bonifacio (3 gennaio 1937), pubblichiamo l’omelia che il cardinale Angelo Amato, da poco scomparso, ha pronunciato nella Messa di Beatificazione del 4 ottobre 2008.

 

4 ottobre 2008, Trieste, Cattedrale di S. Giusto
Angelo Amato, SDB

Cari fedeli radunati in questa storica cattedrale con il vostro Vescovo e con i venerati Pastori delle vicine chiese particolari, sono lieto di potervi partecipare la benedizione del Santo Padre Benedetto XVI che, con la Sua Autorità Apostolica, ha conferito a un figlio della vostra Comunità ecclesiale il titolo e gli onori dei Beati!
Cantiamo al Signore della vita e della storia, con lo stesso entusiasmo con cui il Beato Francesco Giovanni Bonifacio gli ha fatto dono della sua esistenza, attraverso l’eroico martirio subito per amore di Cristo e del suo Vangelo.
Oggi la Chiesa di Trieste gioisce ed esulta nel Signore, perché l’amore immolato di Gesù Cristo, il Pastore buono, si è riflesso e manifestato in un nuovo Martire, nato a Pirano d’Istria nel 1912 e morto in odio alla Fede il giorno 11 settembre 1946 a Villa Gardossi, dove con giovanile fervore egli svolgeva il ministero pastorale, testimoniando con coraggio gli eterni valori del Vangelo. Un giorno, il nostro Beato fu preso dai miliziani titini e fu portato nel bosco. Dopo essere stato crudelmente torturato fu buttato in una foiba come la carcassa di un cane. I suoi resti non furono mai più ritrovati. Ecco la fine disumana di questo giovane sacerdote cattolico. Non basterebbero i pianti di cento mamme per accompagnare  il dolore di tanto supplizio. L’odio genera morte. La carità genera vita e pace. L’odio distrugge l’uomo, la carità lo rispetta.

  1. Sacerdote esemplare e pastore instancabile

Sono quindi due i titoli con i quali il Beato Francesco Giovanni Bonifacio si presenta oggi alla nostra ammirazione e alla nostra venerazione.
Anzitutto egli fu un sacerdote santo. Il “santino” lo chiamavano in seminario. Fu ordinato nel 1936 in questa stessa cattedrale di San Giusto da Mons. Carlo Margotti, Arcivescovo di Gorizia e Amministratore Apostolico di Trieste e Capodistria. Fu subito destinato al servizio pastorale delle Comunità di Pirano d’Istria, suo paese natale, dove restò quattro mesi. Passò poi a Cittanova d’Istria fino al 1939 e, infine, dal 1939 al giorno della morte, a Villa Gardossi, dove più intensa fu la sua azione a favore dei fratelli, soprattutto dei più bisognosi e dei giovani. In quel difficile periodo segnato dalla seconda guerra mondiale, dalla insurrezione popolare del 1943, dai movimenti partigiani, seguiti da deportazioni, distruzione e morte, egli fu pastore generoso, vicino al suo popolo, noncurante della sua vita, difensore dei deboli e padre degli oppressi.
La Chiesa di Trieste, in comunione con la Chiesa universale, guarda perciò commossa e fiera a questo suo figlio, ammirandone l’intrepida fedeltà al ministero sacerdotale, la capacità di rendersi testimone convincente dell’amore di Cristo per le anime, seminatore instancabile di luce e di speranza in un momento di grave sofferenza e di morte.
Il Beato Francesco Giovanni Bonifacio è donato oggi alla Chiesa come rinnovato invito alla speranza, alla concordia, alla fiducia. Lo è in particolare per i sacerdoti e le anime consacrate, chiamati a rendere presente ed operante il Cristo con la generosità del loro ministero.

  1. Martire di Cristo

II Beato Francesco Giovanni Bonifacio oggi è onorato soprattutto come martire. Lo ha riconosciuto tale la Chiesa che lo propone alla pubblica venerazione.
Egli ha confessato Gesù Cristo col sacrificio cruento della propria vita. È divenuto “testimone” della fede della Chiesa, morendo per essa.
Egli proclama oggi, con l’eloquenza del suo sangue, che Gesù Cristo è la vera vita, a confronto del quale tutto il resto ci appare come vanità (cf. Fil 3,8 ).
In un tempo di forte conflittualità e di vera e propria persecuzione egli seppe essere il testimone della carità evangelica. Prevedendo l’eventualità del martirio, egli annota nel suo Diario: «Siamo in tempi eroici; siamo eroici per essere santi, se occorre, fino al martirio». E alla vigilia del suo sacrificio protesta solennemente che «chi non ha il coraggio di morire per la propria fede è indegno di professarla»!
La virtù delle fortezza è la gloria del nostro novello Beato, sacerdote e martire, ministro della grazia divina ed esempio di carità senza fine.
Come Gesù, Giovanni Francesco Bonifacio s’immola in sacrificio di puro amore, un amore che è più forte della morte e che dà la vita per i propri amici (Gv.15,17)
La testimonianza resa a Cristo dal Bonifacio è patrimonio prezioso per questa Chiesa locale che ha generato il Martire e che oggi lo venera come suo intercessore. Ma il suo martirio è anche nuova sorgente di vita e di fertilità spirituale per la Chiesa e per il mondo intero.

  1. Alla scuola del nostro Martire

I santi martiri sono richiami convincenti a una esistenza cristiana autentica, matura, forte. La testimonianza eroica del novello Beato merita di essere da noi imitata nel nostro quotidiano.
Egli ripete questa sera a ciascuno di noi la stessa esortazione dell’Apostolo Paolo: «Fratelli, sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo quello che nella mia carne manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa… Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza» (Col 1, 24. 29).
La beatificazione dell’umile Parroco di Villa Gardossi è pertanto invito non solo a rallegrarci nel Signore per il dono di grazia che illumina il volto di questa santa Chiesa tergestina, ma chiama tutti noi, pastori e popolo santo di Dio, a camminare con fiducia sui sentieri di una vita cristiana di fedeltà al Signore Gesù.
Siamo chiamati ad edificare concordemente la civiltà dell’amore, nel superamento costante di ogni forma di violenza, di discriminazione, di ingiustizia, di sopraffazione, nel rispetto della vita e di quanto ci circonda, perché la carità sia l’unica legge della nostra vita.
Ogni epoca è tempo di martiri. Nonostante la generale accettazione da parte di tutte le nazioni dei diritti fondamentali dell’uomo, ancora oggi ai cristiani è negata clamorosamente la libertà religiosa. Ancora oggi la Chiesa subisce persecuzione. C’è una vera e propria geografia del terrore.
Da un recente rapporto risulta che in tutti in molte nazioni – come, ad esempio, l’Afghanistan, l’Arabia Saudita, la Corea del Nord, la Cina, la Mauritania – la libertà religiosa è inesistente o molto limitata. [1]

In Cina si imprigionano vescovi, sacerdoti e semplici fedeli per il semplice fatto di essere cattolici non sottomessi al regime. Dopo l’uccisione di don Andrea Santoro in Turchia i giornali hanno parlato delle scuole turche nelle quali si insegna a odiare i preti cattolici. In Somalia, nel 2006, fu uccisa Suor Leonella Sgorbati, una missionaria che istruiva i giovani a diventare infermieri. In Irak, nell’aprile scorso, a Baghdad è stato ucciso in odio alla fede cristiana il sacerdote Padre Yousif Adel Abodi. E poco prima era stato rapito e ucciso il Vescovo cattolico Paulos Faraj Rahh. Nel Nepal, nel 2008, il governo ha riconosciuto la festa del Natale. Ma il primo luglio di quest’anno è stato ucciso il salesiano John Prakash. In molti stati del mondo la minoranza cattolica non solo non viene protetta, ma viene apertamente perseguitata fino all’annientamento fisico delle persone. Nel mondo si fanno campagne per la protezione di animali in via di estinzione, ma nessuna campagna è stata fatta per la difesa della libertà religiosa dei cristiani. In molti paesi islamici i figli dei matrimoni misti devono essere solo musulmani e sono proibite le conversioni al cristianesimo. In Bangladesh e in Pakistan i cristiani vengono perseguitati per il semplice fatto di seguire Cristo. In Nigeria i cristiani vengono rapiti e sequestrati per essere convertiti con la forza all’Islam. In Etiopia viene perseguitato chiunque predica il Vangelo, mentre in Eritrea duemila cristiani sono detenuti. In Sudan i cristiani vengono massacrati a migliaia nell’indifferenza del mondo. In Egitto ai cristiani è proibito portare un crocifisso al collo e in Turchia rischiano di essere sgozzati ogni giorno.[2]

In India, da qualche settimana, i giornali non fanno altro che parlare di distruzioni di chiese, di scuole e di ospedali cattolici, con l’uccisione indiscriminata di fedeli, sacerdoti, suore.
È notizia di ieri che in Somalia Al Quida ha distrutto anche l’ultima chiesa, radendo al suolo la cattedrale di Chisimaio, costruita un secolo fa dagli italiani. Dai microfoni di una radio la popolazione è stata aizzata a distruggere il simbolo cristiano armandosi di martelli, asce e picconi. Era l’ultimo giorno del ramadan.[3]

Mons. Raphael Cheenath, arcivescovo cattolico della diocesi di Cuttack, in India, ha affermato che gli estrmisti indù hanno una lista di cento leader cristiani da uccidere. Tra questi c’è anche l’arcivescovo.[4]

I ventimila cristiani rifugiatisi a settembre nei campi di raccolta istituiti dal governo di Orissa subiscono, stando ad Amnesty International, costanti intimidazioni da parte degli hindù, che promettono di ucciderli se torneranno ai loro villaggi senza essersi convertiti all’induismo.

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Perché queste violazioni di diritti umani come la libertà religiosa, la libertà di coscienza, la libertà di annunciare il Vangelo, la libertà di condividere la propria fede nel rispetto della coscienza e della libertà altrui?
La risposta non può essere che una sola: le tenebre hanno paura della luce, la menzogna ha paura della verità.
Ma il Vangelo di Cristo non viene solo perseguitato violentemente altrove. Anche nella nostra società c’è spesso una persecuzione anticristiana sotterranea, fatta di derisione, di stravolgimenti di fatti e di parole, di offese, di promulgazioni di leggi inique. Si irride al Vangelo, alla legge del Signore, creatore e padre delle nostre vite. I mezzi di comunicazione sociale ci opprimono con idee fatue, superficiali e spesso apertamente anticristiane.
Che fare? La risposta ce la dà il nostro Beato martire, che ci invita a essere forti e perseveranti nella sequela di Gesù, il nostro unico maestro, il buon pastore, colui che perdona le nostre colpe e che infonde nei nostri cuori la gioia di una esistenza serena e pacifica.
Oggi la nostra società richiede dai sacerdoti e da tutti i fedeli il coraggio di vivere e di proclamare il Vangelo nella sua integralità, sull’esempio del Beato Francesco Giovanni Bonifacio. Il Vangelo è un gioioso alla vita, alla gioia, alla pace, alla concordia tra i popoli, all’amicizia, alla condivisione ed è anche un no a tutto ciò che umilia la dignità dell’essere umano.
Oggi più che mai il mondo ha bisogno di essere edificato da testimoni fedeli di Cristo. È questo il significato del nostro battesimo. È questo il meraviglioso spettacolo della santità.

Mentre l’odio dell’uomo faceva precipitare il nostro Beato nelle tenebre della voragine e della morte, l’amore di Dio lo innalzava alla luce della gloria, facendolo rinascere in Paradiso. Dio è carità. Il cristiano vive e muore nell’amore di Dio.

[1] Rapporto presentato a Washington D.C., il 19 settembre 2008, dall’ambasciatore John V Hanford III  e da Condoleeza Rice.
[2] Sono informazioni presentate da Riccardo Pedrizzi sul quotidiano “Il Tempo” del 19 settembre 2008 p. 19.
[3] Da una corrispondenza di Fausto Biloslavo pubblicata su “Il Giornale” del 3 ottobre 2008 np. 17.
[4] Da una corrispondenza di Gian Micalessin su “Il Giornale” del 3 ottobre 2008 p. 17.


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