Domenica 5 gennaio 2025 al Teatro La Barcaccia presso l’Oratorio Salesiano di Trieste va in scena uno spettacolo unico nel suo genere : un’abile fusione tra recitazione, proiezioni, audio e intelligenza artificiale per spiegare come sia veramente andata la vera storia del batiscafo Trieste. Testo teatrale di Francesco Halupca, storia tratta dal libro « Il Trieste » del padre Enrico Halupca ; narratore interpretato da Francesco Halupca, personaggio misterioso – che solo alla fine si rivela essere lo spirito di Diego de Henriquez – interpretato da Giorgio Fortuna.
Molti sanno della sua immersione nella Fossa delle Marianne a quasi 11000 metri di profondità nel 1960, ma pochi sono informati su come e perché il progetto sia nato a Trieste.
Protagoniste le figure di 2 grandi scienziati : Auguste e Jacques Picard, rispettivamente padre e figlio. Auguste era soprannominato l’uomo dei record : con un pallone aerostatico era riuscito a raggiungere la stratosfera e, in direzione opposta, aveva già fatto qualche tentativo di immersione con un batiscafo per esplorare le profondità oceaniche.
A guidarli a Trieste è la particolare figura del prof. Diego de Henriquez, solitamente conosciuto più per le sue stravaganze che per la sua capacità di costruire ponti fra presente e futuro. Appassionato collezionista di tutto ciò che tempo dopo sarebbe diventato introvabile, aveva messo insieme una grande raccolta di armi, ma non per farne un museo della guerra : quelle armi volevano essere la testimonianza di quanta distruzione possa portare la guerra, la quale non poteva e non doveva essere la via per la soluzione delle controversie ; la partita, invece, andava giocata sulla scienza. Una scienza non al servizio della guerra, come con le armi, ma al servizio del bene e del progresso dell’umanità. Da lì il sogno di costruire una Wunderkammer, raccogliendo tutto il meglio prodotto dall’umanità.
De Henriquez, conosciuti i progetti e i sogni dei Picard, riesce a convincerli a far partire il progetto del batiscafo da Trieste : quella Trieste del Governo Militare Alleato tra il 1945 e il 1954, durante il quale in città correvano i dollari e alcune realizzazioni – impossibili in altri momenti – in quel contesto diventavano fattibili. I Cantieri Riuniti dell’Adriatico e gli studenti dell’Istituto « A. Volta » provvedono alla progettazione e ai disegni dello scafo e degli interni ; la sfera d’acciaio passa poi agli stabilimenti di Terni e l’assemblaggio a quelli di Castellammare di Stabia.
Nel 1953 il batiscafo è pronto per la prova di immersione nella Fossa Tirrenica, al largo dell’isola di Ponza. Esperimento riuscito.
Poi il contesto politico cambia : Trieste ritorna all’Italia, la figura di de Henriquez viene accantonata, fino alla sua morte in circostanze non chiare, il batiscafo viene acquistato dalla Marina Militare degli Usa, la quale lo condurrà nella fossa delle Marianne. A quel punto, però, il batiscafo viene risucchiato nell’ambito militare, cosa che nè de Henriquez nè i Picard volevano. Unica condizione : insieme a Don Walsh nell’immersione c’è anche Jacques Picard, il quale così porta a compimento almeno in parte il sogno del padre.
Grazie a quell’immersione si scopre che negli abissi c’è vita. E meno male, altrimenti qualcuno pensava già di utilizzare quelle aree come deposito di scorie nucleari ! Il sogno di una scienza al servizio della pace si è dunque in parte realizzato, proprio secondo la visione di de Henriquez e dei Picard.
Lo spettacolo si apre con una gigantografia del batiscafo. Al centro della scena c’è un narratore, interpretato da Francesco Halupca, il quale tenta di far raccontare all’Intelligenza Artificiale la storia del batiscafo : ma questa prima si perde in inutili e sovrabbondanti tecnicismi, poi si arena di fronte alla mancanza di dati recenti. A rimediare interviene un personaggio misterioso che si alza tra il pubblico : lui sa come sono andate veramente le cose. Il dialogo tra lui e il narratore si fa serrato, l’iniziale tono ironico usato con l’Intelligenza Artificiale qui si carica di emozioni possibili solo in chi ha veramente vissuto certe esperienze : chi ha vissuto la guerra sa come la scienza possa essere ambivalente, proprio come i simboli, a partire dall’alabarda, che può diventare un’arma oppure un veicolo di socialità e pace. De Henriquez aveva il terrore della scienza usata a scopi militari e dopo la bomba atomica nessuno poteva dargli torto. Sul fondale del palcoscenico, infatti, compare il filmato dell’esplosione della bomba atomica, insieme alla frase profetica con cui Svevo conclude « La coscienza di Zeno » : in un mondo senza punti di riferimento qualcuno potrà essere in grado di creare un’arma capace di distruggere l’umanità e l’intero pianeta. Da qui l’urgenza dell’impegno della scienza a favore della pace e non della guerra.
Il messaggio e il sogno di de Henriquez e dei Picard sono arrivati. La figura del professore, nota per la sua bizzarra abitudine di dormire in una bara e di portare la sua valigia con i denti invece che con le mani, acquista qui una nuova luce : non un pazzo visionario, ma un profeta preoccupato per il futuro dell’umanità e fiducioso in una scienza utile a tale scopo.
Il personaggio misterioso ha raccontato tutto quello che c’era da dire, saluta il narratore e se ne va … prendendo la sua valigietta tra i denti.
Iris Zocchelli