La sede di via Diaz 4 è da tempo condivisa tra le associazioni sopra citate e un’organizzazione scrupolosa e rispettosa ha sempre fatto in modo che ciascuno potesse avere i propri tempi e spazi ma si è sentita l’esigenza di fare di più: incontrarsi per parlarsi, confrontarsi, presentare le proprie esperienze e i propri punti di vista, riflettere insieme al vescovo mons. Enrico Trevisi che è partito dal messaggio dato dal papa a Roma il 4 gennaio alle delegazioni intervenute per gli 80 anni dell’UCIIM. E qui emerge subito il discorso del patto tra le associazioni: tanti fanno tante cose, altri già lavorano in rete, ma impegnarsi e camminare insieme è tutt’altro. Coordinarsi, evitare di sovrapporre impegni ed eventi, in modo che le persone possano partecipare alle attività delle proprie associazioni, ma anche a quelle degli altri, senza improduttivi recinti e confini. Trieste è una città molto attiva, ma nota per la sua tendenza a lavorare per gruppi separati, ciascuno per sé: questa forma mentis va superata, in nome di un cammino comune.
Chi ha a che fare con la formazione e l’educazione – ha sottolineato il papa – deve tenere a mente 3 parole magiche: compassione, vicinanza, tenerezza, su modello di Gesù-Dio incarnato, che si è fatto uomo Lui stesso condividendo gioie, dolori, solitudini, speranze, paure. La speranza, di cui il docente cristiano è un portatore, non è un’ingenua illusione o una copia di ciò che fa il maestro, ma un progetto con lo sguardo fisso su Dio, per citare Romano Guardini; e questo progetto riguarda tutti, bambini, giovani, adulti. Uno sguardo mirato, e non perso come chi ha smarrito la strada e non sa dove stia andando. Uno sguardo che non deve lasciare per strada nessuno: il bambino, il giovane, ma anche l’adulto che fatica ad adattarsi all’attuale riduzionismo culturale per lui privo di senso, il pensionato che sente di aver perso il proprio ruolo nella società. Prova ne è una richiesta partita dal personale sanitario del Burlo e corredata da 4 pagine di argomentazioni, ricorda mons. Trevisi: molti sentivano la necessità della presenza di un prete che aiutasse a ritrovare un senso in tanto dolore inconsolabile. La cura anche della vita spirituale rientra nei criteri previsti per il bene globale della persona.
A questo si aggancia il messaggio dell’associazione “Si può fare”, che sul Carso si occupa di minori non accompagnati e altri minori in difficoltà: l’allarme suona in modo drammatico per segnalare che si è abbassata l’età dei tentativi di suicidio, arrivando recentemente agli 11 anni. Come salvarli o almeno tentare di farlo? Con la scoperta che esiste un cammino da fare insieme: io ti accompagno, ma c’è qualcosa che puoi fare solo tu. Ciascuno si deve sentire unico e insostituibile, come se senza di lui rimanesse il vuoto di un pezzo di puzzle mancante. Molti disagi, infatti, – sottolinea il vescovo – nascono dalla mancata abitudine a camminare sulle proprie gambe e a essere responsabili verso se stessi e verso gli altri. Un simile percorso esige pazienza, cura e dedizione che eccedono il mansionismo da contratto: devono entrare in scena l’empatia e la gratuità, segni di una vera ecclesialità specchio dell’amore di Gesù.
Tuttavia non ci si improvvisa adulti: è noto ed evidente che, se l’adulto è sofferente e confuso, il bambino e il ragazzo lo saranno ancora di più, mentre l’esempio di un adulto credibile aiuta il giovane a capire che un certo tipo di percorso è possibile. Ecco perché è urgente rilanciare il volontariato: per offrire ai nostri giovani l’esempio e l’esperienza di quanto sia bello, gratificante e formativo impegnarsi per gli altri. Anche la scuola, quindi, invece di giocare tutte le carte dell’orientamento sul “che lavoro vorrai fare da grande?” o “questi argomenti ti serviranno di più per trovare un lavoro meglio pagato”, dovrebbe far capire ai ragazzi quanto sia importante imparare per essere di aiuto agli altri, ciascuno nella propria sfera di competenza. Capita infatti che si curi tantissimo la formazione intellettuale e tecnica, per la quale i corsi in rete non si contano, mentre manca una formazione spirituale e un’educazione della coscienza, le sole capaci di farci percepire il dolore altrui, l’ingiustizia e la spinta a porvi rimedio.
Per alimentare la vita interiore non è necessario chiudersi in un convento: germi di spiritualità possono emergere da una lettura, da un’opera d’arte, da una musica purché ci si prenda il tempo per ascoltare, meditare, capire. E qui intervengono la storia e il percorso dell’Istituto Maritain: nato a livello internazionale nel 1974, a Trieste ha avviato la sua attività nel 2004, puntando sulle proposte della Summer School, volta proprio a guidare una cultura accolta e meditata, senza il fragore dei grandi eventi, ma con la profondità che solo uno studio mirato e paziente può raggiungere. Tutto senza fretta. Da qui il progetto “Rondine” con i lavori di formazione sui conflitti, i processi di discernimento sul lavoro comunitario, la preparazione delle Settimane Sociali.
È il turno di Azione Cattolica, che ricorda il Movimento Studenti degli anni ’90 e lo sguardo rivolto alla formazione globale della persona, proprio nel periodo delle famose occupazioni. Il Movimento Studenti andrebbe rilanciato e rivitalizzato, proprio perché i ragazzi a scuola ci vivono e lì possono incontrare i loro coetanei con tutto il loro carico di esperienze, positive e critiche. Va ricostruito il dialogo con le famiglie, facendo capire loro l’importanza di una vita spirituale, affinché qualcosa di essa passi anche ai figli.
A scuola si deve far di tutto per evitare che gli studenti si sentano solo dei numeri: la burocrazia è soffocante, oppressiva, spesso paralizzante, tuttavia non deve mai mancare il tentativo di costruire un feeling con gli studenti, magari con qualcuno di essi, lasciando umilmente ad altri le situazioni nelle quali le competenze di alcuni nostri colleghi possono essere migliori delle nostre. E anche gli studenti, a volte, potrebbero imparare a dire grazie: non solo dopo anni, quando il vecchio docente non è più un loro docente, ma anche in itinere; quel grazie vale più di qualsiasi compenso monetario, perché sorge dal cuore e riempie di significato il cammino della scuola.
Tutto questo richiede una ripartenza dalla persona: come diceva don Milani, un docente non si deve chiedere “che cosa devo fare” ma “come devo essere”. In fondo anche nei documenti ministeriali si parla di “benessere degli studenti e dei docenti” e a tale scopo si sono avviati tanti progetti ed è stata introdotta la figura dello psicologo scolastico; tuttavia, nel frenetico delirio della burocrazia, tutto questo rischia spesso di sbiadire di fronte ad altre richieste pressanti ma altrettanto fuorvianti. Il tempo per chiedere “come stai?” non deve mancare mai, in barba a verifiche, voti, circolare e riunioni.
Nessuno nasce maestro e nessuno lo è per sempre: da qui il progetto di supporto alla genitorialità, che accompagna i genitori nella gestione di situazioni oggi sempre più complesse da gestire; lo scorso anno gli incontri dell’Uciim sono stati sulle tecnologie, quest’anno sul concetto di limite dentro e fuori di noi.
Per essere un buon maestro, però, è necessario anche ricordare i buoni maestri, a incominciare da quelli locali, spesso dati per scontati o dimenticati a favore dei grandi nomi. In fondo l’occasione dell’incontro con il papa il 4 gennaio 2024 è nata proprio dall’80° anniversario dell’Uciim, dove il fondatore Gesualdo Nosengo sognava una scuola capace di fornire una base culturale e formativa più ampia a tutti e non solo ai privilegiati e una scuola centrata sulla persona, esattamente come don Milani e tanti altri.
La sfida è ardua, ma “insieme” si può, mandando definitivamente in pensione il vecchio “no se pol” che per troppo tempo ha bloccato le risorse della nostra città.
Iris Zocchelli