Se vuoi la pace… prepara la pace!

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Domenica 2 febbraio il Consiglio Regionale Triveneto dell'Azione Cattolica si è riunito a Vicenza per l'appuntamento formativo sul tema della pace e della gestione dei conflitti dedicato alle presidenze diocesane.

L’Azione Cattolica, per vivere davvero comunitariamente e sinodalmente il proprio carisma, si è organizzata in diversi livelli, per favorire l’incontro delle diverse istanze ecclesiali su tutto il territorio nazionale, oltre che diocesano e parrocchiale. Uno di questi livelli è il coordinamento regionale, di cui il Consiglio Regionale è il centro. Almeno una volta l’anno il Consiglio raduna le presidenze diocesane e la delegazione regionale per discutere di temi fondamentali declinandoli nei diversi accenti diocesani.

 

Domenica 2 febbraio è stata dedicata al Consiglio Regionale Triveneto, presso il seminario diocesano di Vicenza: il tema fondante, come suggerisce il titolo, è stato la pace.

Siccome l’Azione Cattolica è sempre attenta agli aspetti formativi, che accompagnino gli aderenti a conoscere, riflettere e lasciar sedimentare i semi di speranza e sapienza che ricevono, l’approccio di questa giornata è stato formativo, in particolare attraverso la conoscenza e la condivisione di buone pratiche. Ha introdotto i lavori il delegato regionale Claudio Bolcato che ci ha ricordato il cammino fin qui percorso per sensibilizzare le associazioni diocesane e le Chiese locali sui percorsi di pace che esulino dai semplici buoni pensieri ma conducano a un approccio più concreto.

Ospite d’onore, il presidente nazionale Giuseppe Notarstefano ci ha ricordato come la questione della pace non sia una delle attenzioni da avere, ma è attenzione preminente: non vogliamo abituarci o rassegnarci a guerre e violenze acuite dall’individualismo di oggi. La pace è un bene e va continuamente e faticosamente cercato, fragile, da custodire. La scala globale ci insegna che alla base dele guerre ci sono molti interessi che possono essere regolati ad esempio tramite il lavoro di “advocacy”, tra cui ad esempio l’impegno di Caritas internazionale per cancellare il debito dei Paesi in difficoltà. Se ci interroghiamo su cosa può fare AC, una risposta è mettersi in cammino sinodale con la sua scelta sociale di conversione comunitaria e pastorale, per raccontare al mondo il gesto prezioso del fare la strada con e verso l’altro e testimoniando che la Chiesa non si lascia trascinare da questo contesto ma scorge i segni di speranza nelle molte cose buone che proprio oggi stanno accadendo.

Questo incoraggiamento ha aperto il contributo centrale alla giornata dato da Noam, israeliano, e Valeria, giovane ucraina, collaboratori di Rondine, cittadella della pace. Questa bella realtà, nata dall’intuizione di Franco Vaccari che, nella dolce campagna toscana, ha ristrutturato un borgo medievale, ha creato uno spazio di vita quotidiana in cui giovani studenti provenienti da popoli in conflitto tra loro possano esercitarsi a trovare i fondamenti della pace nella cura delle relazioni personali mentre compiono il loro percorso di studi. Dopo due anni di permanenza nello studentato internazionale (world house), i giovani protagonisti scrivono un progetto da riportare in patria per fecondare il loro seme di pace. Negli anni, l’iniziativa si è estesa al sistema scolastico italiano, offrendo la permanenza a ragazzi di quarta superiore per un anno, approfondendo il tema del conflitto, prima di tutto personale, molto significativo nell’età adolescenziale. Attualmente il progetto coinvolge 32 istituti in Italia, si punta a raggiungere gli 80 per far entrare l’iniziativa nell’ordinamento scolastico.

L’attività per le presidenze diocesane riunite nell’auditorium del seminario ha visto una fase di risposta personale ad alcune domande provocatorie (cos’è per me il conflitto? Cosa uso di me stesso per ferire o prevaricare nella relazione?) seguite da due momenti laboratoriali, divisi in gruppi, per ascoltare le testimonianze scritte da due studenti di Rondine, analizzarne i tratti fondamentali in relazione al conflitto, e poi costruire dei percorsi concreti e credibili di formazione su questo tema nelle rispettive realtà.

L’esito più interessante forse, è la consapevolezza che per gestire il conflitto non bisogna eliminarlo, appiattire le differenze non permette di abitarle, mentre c’è bisogno di trasformarle da energia degenerativa in energia generativa. Per gli studenti internazionali la world house in cui vivono per due anni ha funzione riparativa, mentre per gli studenti italiani ha funzione preventiva.

Un seme, che si dice piccolo ma in realtà è grande e potente, per formarsi concretamente alla pace, capire cosa significa e intuire come costruirla, anche nelle nostre comunità.

Arturo Pucillo


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