Preoccupazione perché “non si vedono iniziative di dialogo tra diversi gruppi” e per l’uso “non necessario della violenza da parte di uomini mascherati con uniformi di polizia o simili”. “La situazione sta prendendo una direzione molto pericolosa”. È quanto esprime al Sir il card. Ladislav Nemet, arcivescovo di Belgrado e presidente della Conferenza episcopale internazionale dei Santi Cirillo e Metodio, al quale il Sir ha chiesto di raccontare cosa sta succedendo nel suo Paese ma soprattutto di spiegare le motivazioni che hanno spinto migliaia di giovani a scendere nelle piazze della capitale per chiedere elezioni anticipate. Una grande manifestazione antigovernativa promossa dal movimento degli studenti che è degenerata in violenza e scontri tra polizia e manifestanti.

Eminenza, perché i giovani sono scesi in piazza? Cosa chiedono?
Il 1° novembre 2024, a Novi Sad – la seconda città più grande della Serbia – si è verificata una terribile tragedia: una tettoia della stazione ferroviaria è crollata, causando la morte di 16 persone. L’evento è stato subito interpretato dalla popolazione serba come una conseguenza della corruzione dilagante nella società. La stazione, infatti, era stata oggetto di lavori di ristrutturazione per quasi tre anni. Una volta terminati, l’infrastruttura era stata riaperta al traffico regolare il 2 luglio 2024. Solo quattro mesi dopo, è avvenuta la tragedia. Successivamente, è emerso che vi erano numerose irregolarità nei lavori eseguiti, così come nella documentazione relativa all’intero progetto di rinnovamento. I giovani hanno richiesto un’indagine indipendente sull’accaduto e la punizione dei responsabili. Purtroppo, dopo otto mesi di proteste, non si è giunti a nessun risultato visibile o significativo in merito.

Siete preoccupati per le possibili conseguenze che possono avere queste proteste?
Sì, sono molto preoccupato, perché le proteste studentesche si sono concluse il 28 giugno scorso, e gli studenti hanno proclamato un periodo di disobbedienza civile nel Paese. Molte persone, anche al di fuori del mondo studentesco, hanno aderito a questa iniziativa, e ora stiamo vedendo a ciò che sta accadendo per le strade di molte città e villaggi in quasi tutta la Serbia.

Ciò che mi preoccupa molto è l’assenza di iniziative di dialogo tra i diversi gruppi.

Inoltre, si registrano episodi di violenza ingiustificata da parte di uomini mascherati, in uniforme di polizia o simili. La situazione sta prendendo una direzione molto pericolosa.

Ci sono stati scontri, arresti e anche feriti. Come Chiesa cattolica, cosa chiedete sia ai giovani manifestanti sia al governo?
Alcuni mesi fa ho invitato tutte le parti coinvolte a rispettare la cultura del dialogo, evitando ogni forma di violenza, in particolare da parte dello Stato. Ho chiesto alle autorità statali di indagare a fondo sull’accaduto a Novi Sad e di assicurare alla giustizia i responsabili della morte di 16 persone innocenti. Purtroppo, da parte del Governo non si è riscontrata una reale preoccupazione per questa vicenda. Abbiamo pregato per la pace nelle nostre chiese, e continueremo a farlo.

Pace e Giustizia. Cosa serve alla Serbia per costruire un presente e un futuro di pace e giustizia?
Ci vuole il rispetto di tutte le persone in Serbia e il rispetto per l’ordine democratico del Paese, un ordine in cui sia chiaro il ruolo e il funzionamento dei diversi poteri: esecutivo, giudiziario e legislativo. Tutto questo, purtroppo, oggi manca in questo Paese.

Per avviare un autentico processo di riconciliazione sociale in Serbia, è indispensabile un cambiamento del cuore di tutti i soggetti coinvolti — ma in modo particolare di coloro che hanno il potere e la responsabilità di decidere le sorti dell’intera nazione.

L’Europa è attraversata da guerre, nuove paure, xenofobie, chiusure. Il 28 giugno il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) è stato ricevuto in udienza da Papa Leone XIV. Cosa vi ha detto?
L’udienza è stata un bellissimo incontro con il nostro Papa. Ci ha aiutato molto il fatto che il cardinale Prevost, prima di essere eletto Papa, fosse responsabile del lavoro del Ccee: conosceva quindi già i nostri impegni e la nostra missione. Abbiamo parlato della situazione del nostro continente, delle sfide legate all’evangelizzazione e anche degli aspetti positivi del momento presente. Io ho voluto sottolineare che l’Europa non è soltanto un continente in decadenza. È vero che esistono segnali preoccupanti in alcune parti del continente, come in Belgio o nei Paesi Bassi, o ancora nell’uso della religione come “arma di guerra giusta”. Tuttavia, l’Europa è anche un continente di fede viva, soprattutto nei Paesi a maggioranza ortodossa e in quelli post-comunisti. Questo patrimonio di fede va rispettato e valorizzato come risorsa per l’evangelizzazione dell’intero continente. Oggi, grazie alla grande mobilità, molte persone si spostano all’interno dell’Europa: cristiani provenienti da altri continenti, ma anche cristiani europei che si trasferiscono in altri Paesi del continente. Essi portano nuova vita alle comunità cristiane che, in alcune regioni, appaiono stanche o segnate da una fede in crisi.

Sono convinto che l’Europa abbia ancora molto da offrire a tutta la Chiesa cattolica nel mondo.