Settimana liturgica nazionale: Tra peccato e grazia, guardare oltre

75ª Settimana liturgica nazionale, tra riflessioni teologiche, momenti di confronto e celebrazioni, emerge un tema che interroga profondamente il nostro tempo: la speranza

Napoli sta ospitando in questi giorni la 75ª Settimana liturgica nazionalehttps://75settimanaliturgica.it/. Tra riflessioni teologiche, momenti di confronto e celebrazioni, al centro dei lavori emerge un tema che interroga profondamente il nostro tempo: la speranza. Ma che cosa significa davvero sperare oggi, in una società che sembra spesso smarrita e senza orizzonte? Ne abbiamo parlato con don Francesco Asti, preside della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia meridionale, che ci accompagna a rileggere la speranza alla luce del Vangelo, nella vita quotidiana dei cristiani, nel volto di Napoli e nel respiro della teologia.

In un mondo che sembra fare sempre più fatica a sperare, ha ancora senso parlare di speranza?

Per i cristiani la speranza è Cristo stesso.

Non si tratta soltanto di un sentimento o di un atteggiamento interiore: Cristo è la speranza in persona, come nostro Salvatore. Per questo la speranza si realizza concretamente nella vita di ciascuno di noi. La domanda rimane comunque pertinente: sappiamo ancora sperare? Io credo di sì. Per noi sperare significa avere la volontà di incarnare il Vangelo, che è soprattutto difesa degli ultimi, così come il Signore ci ha insegnato. E poiché il mondo continua a presentare difficoltà e limiti, la speranza rimane viva proprio perché ci spinge a superarli.

Ma come può oggi un cristiano dimostrare, testimoniare concretamente che si può ancora sperare? Il cardinale Parolin, ieri, ha citato san Paolo: “sperare contro ogni speranza”. Tuttavia, spesso anche i cristiani cedono alla tentazione di non sperare più. Come si fa, allora, a continuare a sperare?

Il problema di oggi è che non riusciamo più ad avere l’incanto del domani. Siamo appiattiti sul presente, desiderosi di avere tutto e subito, incapaci persino di accettare la parola “sacrificio”, che oggi non si usa quasi più perché fa paura. E quando viene meno questa capacità di guardare oltre, si smette di pensare al domani e ci si chiude nel presente.
Per uscire da questa visione piatta del tempo, i grandi maestri dello spirito invitavano a guardare al passato. I Padri della Chiesa, ad esempio, quando parlavano di speranza non si riferivano al presente, ma alla promessa di Dio. Una promessa che appartiene al passato ma che trova compimento nel futuro.

Credo che anche noi oggi dovremmo riscoprire il nostro passato con uno sguardo capace di aprirsi con più chiarezza al futuro.

Napoli può essere considerata ancora una città di speranza? In una realtà ormai segnata dalla globalizzazione, le caratteristiche tradizionali della città sembrano a volte sopite. Quali segni di speranza intravede e in cosa dovrebbe ancora crescere la città in questa prospettiva?

C’è un vecchio detto popolare secondo cui a Napoli ci sono tanti ladri quanti santi. Questa espressione non è altro che la conferma delle parole di san Paolo: “Dove abbonda il peccato, sovrabbonda la grazia di Dio”. Questo per dire che c’è sempre speranza. Non perché sia necessario il male per riconoscere il bene, ma perché

proprio lì dove ci sono peccato, limiti e difficoltà, il cristiano non si chiude in sé stesso. Al contrario, guarda avanti, verso l’azione salvifica che Cristo ha compiuto per ciascuno di noi: promundi vita. Questo è il vero futuro.

Veniamo all’ultimo punto. La teologia, oggi, nella sua complessità e nelle difficoltà che sta attraversando, può ancora alimentare la speranza? Oppure la speranza rischia di restare soltanto un concetto astratto, relegato negli scaffali del passato, senza forza escatologica?

A partire proprio dal convegno di questa Settimana liturgica nazionale possiamo rispondere che

la teologia è intrinsecamente orientata alla speranza.

La liturgia, infatti, è un costante invito a guardare al futuro, perché ci apre alla realizzazione dell’incontro definitivo con Cristo nella vita eterna. Ogni celebrazione liturgica è già oggi un pegno di ciò che vivremo pienamente nel domani di Dio.
La teologia non può fare a meno della speranza, perché è riflessione critica sul mistero, ma allo stesso tempo è dialogo con Dio. È un parlare con Lui per parlare di Lui. Ed è in questo dialogo che si radica la speranza: una speranza che diventa stimolo alla ricerca, capacità critica, approfondimento del dato rivelato. In quel dialogo con Dio, infatti, c’è già racchiusa tutta la speranza.

Doriano Vincenzo De Luca (SIR)

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