Cultura della riconciliazione: presupposto per la pace

Un folto pubblico di persone ha partecipato all'incontro "Testimoni di una pace possibile" promosso dal Centro Culturale "mons. Lorenzo Bellomi"

Pubblichiamo una testimonianza in forma di lettera di una partecipante all’incontro tenutosi a Trieste, presso l’Aula Magna della Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori dell’Università di Trieste, la sera di sabato 20 settembre.

Caro figliolo,

so di averti contrariato l’altra sera quando ti ho salutato per andare a un incontro serale. Ti sei rassegnato solo perché, alla fine, sei felice di passare un po’ di tempo con i nonni. Mi hai chiesto: “perché vai a questo incontro?”. Ti ho risposto: “è un incontro che parla della guerra in Terra Santa e di due persone che la stanno vivendo, mi sembra importante…”. Ora che all’incontro ci sono stata posso risponderti meglio e raccontarti del bene che ne ho ricevuto.

È stato proposto dagli amici del Centro culturale mons. Lorenzo Bellomi, volevano far conoscere una realtà molto bella e positiva. Ho visto il nostro Vescovo Enrico, ha parlato per primo e quando ha iniziato aveva una voce forte e decisa, sembrava proprio voler farci entrare nelle orecchie delle parole, anzi voleva che entrassero proprio dentro di noi. Ha letto il discorso di Papa Leone XIV per la proposta di Candidatura di Lampedusa a Patrimonio Immateriale UNESCO ed era rattristato perché sui giornali nessuno ne aveva parlato, invece è un discorso importantissimo, figlio mio, perché suggerisce un metodo e un lavoro a ciascuno di noi per favorire la pace.

Ti dirò due termini difficili che ha usato, ma che sono molto veri. Ha parlato non solo della globalizzazione dell’indifferenza, ma ancora di più della globalizzazione dell’impotenza: ci vogliono far credere che “la storia sia sempre andata così, che la storia sia scritta dai vincitori. Allora sembra che noi non possiamo nulla. Invece no: la storia è devastata dai prepotenti, ma è salvata dagli umili, dai giusti, dai martiri, nei quali il bene risplende e l’autentica umanità resiste e si rinnova”. La risposta a questa menzogna è la cultura della riconciliazione:

riconciliarsi è un modo particolare di incontrarsi. Oggi dobbiamo incontrarci curando le nostre ferite, perdonandoci il male che abbiamo fatto e anche quello che non abbiamo fatto, ma di cui portiamo gli effetti”. Stai attento ancora a queste parole, devono diventare la nostra missione: “Il male si trasmette da una generazione all’altra, da una comunità all’altra. Ma anche il bene si trasmette e sa essere più forte! Per praticarlo, per rimetterlo in circolo, dobbiamo diventare esperti di riconciliazione. Bisogna riparare ciò che è infranto, trattare con delicatezza le memorie che sanguinano, avvicinarci gli uni agli altri con pazienza, immedesimarci nella storia e nel dolore altrui, riconoscere che abbiamo gli stessi sogni, le stesse speranze. Non esistono nemici: esistono solo fratelli e sorelle. È la cultura della riconciliazione. Servono gesti di riconciliazione e politiche di riconciliazione”.

Finito il suo intervento, il Vescovo si è voltato verso le due donne relatrici dell’incontro: Maayan Inon (una donna israeliana) e Sima Mohammed Mahmoud Awad (una ragazza palestinese) e le ha guardate con un affetto e un’amicizia che mi hanno colpito. Loro incarnano proprio quelle parole del Papa: sono delle testimoni di riconciliazione. Pensa, figlio mio, i loro popoli si stanno facendo la guerra e si stanno ammazzando. Loro stesse hanno perso i loro cari. I genitori di Maayan sono stati uccisi in casa loro il 7 ottobre 2023. Si sarebbero dovuti vedere con la famiglia il giorno dopo per le vacanze e non si sono più visti. Sima, invece, ha perso il fratello di 17 anni, quando ne aveva 3, ucciso da un cecchino israeliano, e ha raccontato che il dolore della mamma è stato tale da non riuscire più a prendersi cura degli altri figli, fino a che non ha conosciuto un gruppo molto particolare. Si chiama The Parents Circle-Families Forum ed è un’organizzazione congiunta israelo-palestinese che lavora per costruire la pace e sostenere un processo di riconciliazione, partendo dal presupposto che proprio la riconciliazione è prerequisito per costruire una pace duratura.

Quelle persone sono tutte molto esperte di riconciliazione: hanno perso un parente in questo conflitto, ma hanno deciso di incontrarsi, sfidando il senso di odio e di vendetta che avevano nel cuore, per intraprendere un percorso di dialogo e di perdono. Anche Maayan fa parte di questo gruppo: dopo la morte dei suoi genitori, suo fratello l’ha invitata a partecipare; lei all’inizio non capiva perché avrebbe dovuto incontrare delle persone della parte nemica, anche altre persone che erano lì con lei erano piene di rabbia. Ma poi ha aperto il suo cuore e davanti alla sua ferita così limpida e sincera, anche gli altri si sono aperti e hanno condiviso con lei il dolore. Maayan ha parlato a lungo della necessità di mettersi in comunicazione e in connessione con le altre persone: è il primo passo per la pace. Dobbiamo farlo anche noi: mai chiudere il dialogo con nessuno, figlio mio. Impariamolo, già in famiglia.

Sima ha raccontato che con The Parents Circle-Families Forum organizzano delle vacanze per ragazzi palestinesi e israeliani, facendo delle attività insieme, proprio per rendersi conto che hanno gli stessi desideri e le stesse speranze e possono convivere. Sima raccontava, purtroppo, che la gran parte dei suoi coetanei non crede che sia possibile una convivenza tra israeliani e palestinesi e questo la addolora tanto. Le due donne che abbiamo visto quella sera, però, incarnavano proprio questa possibilità! E questo dà tanta speranza a tutti… Pensa che Maayan, dopo la morte dei suoi genitori e l’incontro con The Parents Circle-Families Forum, ha capito che l’urgenza più grande è proprio diffondere questa cultura della riconciliazione, tanto che ha smesso di fare il suo lavoro (è una fisioterapista) e si dedica completamente a questa missione. Figliolo, preghiamo anche per Sima: ha raccontato che non le è data la possibilità di iscriversi all’università a causa della guerra. Lei, come tanti altri giovani, non possono mettersi all’opera per costruire il loro futuro. Preghiamo tanto per loro. Pensa che ingiustizia devono patire e non è neppure la peggiore.

Ti confiderò che durante l’incontro mi sono commossa. Ho pensato che il male sia grande nel mondo, ma Dio è ancora più grande. Tra le macerie della morte e della distruzione, Dio fa crescere queste amicizie così speciali tra queste persone, alle quali viene detto che non possono condividere nulla: spazi, territori, politiche, tutto è destinato a divisione e a guerra. Invece, incontrandosi, in quella associazione, curano le ferite gli uni agli altri come angeli e costruiscono insieme. La mamma di Maayan era un’artista di mandala e lei con altre donne palestinesi e israeliane costruisce dei mandala con dei sassi che portano ciascuno il nome di un caro defunto. Sono tutti insieme. Costruiscono insieme e così condividono il cuore e la vita. Piccolo mio, vedere queste testimoni di riconciliazione mi ha dato tanta speranza e mi ha spinta a desiderare di imparare con te questa nuova forma di sguardo e di giudizio, ogni giorno, con piccoli gesti. “Tutto il bene che avete fatto potrebbe sembrare come gocce nel mare. Non è così, è molto di più” (Papa Leone XIV).

Francesca Cantarini

Foto di Luca Tedeschi

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