La misericordia che cura e chiama per nome

Il 14 ottobre a Sant'Antonio Taumaturgo, incontro con Grégoire Ahongbonon, detto "Il Basaglia dell'Africa", che libera e cura le persone con disagio psichico

Nel cuore dell’Africa, dove la malattia mentale è ancora avvolta da superstizioni e stigma, un uomo ha scelto di rispondere al Vangelo con la concretezza dell’amore. È Grégoire Ahongbonon, nato nel 1953 in Benin e cresciuto in Costa d’Avorio. La sua storia non è quella di un medico, né di uno psicologo, ma di chi ha riconosciuto Cristo nei volti più dimenticati.

La sua missione nasce da una crisi personale profonda. Dopo anni di lavoro come gommista e tassista, Ahongbonon attraversa un periodo di depressione che lo porta sull’orlo del suicidio. È in quel momento di buio che la luce della fede lo raggiunge: un pellegrinaggio a Gerusalemme e l’incontro con un missionario, lo trasforma radicalmente. Da quel giorno, decide di dedicare la sua vita ai malati psichici, spesso abbandonati, incatenati, esclusi dalla società.

Nel 1994 fonda l’associazione Saint Camille de Lellis, ispirandosi al santo patrono dei malati. I centri da lui creati in Benin, Togo e Costa d’Avorio accolgono gratuitamente uomini e donne affetti da disturbi mentali, offrendo cure, ascolto, reinserimento sociale e, soprattutto, dignità. La sua è una “terapia dell’amore”, che non si basa su protocolli clinici, ma sulla prossimità, sull’abbraccio, sulla convinzione che ogni persona è immagine di Dio.

«Ogni volta che accogliamo uno di questi fratelli, accogliamo Cristo stesso», ripete spesso. E non è una frase ad effetto: in molte comunità africane, i malati vengono ancora incatenati a pali o rinchiusi in condizioni disumane. Ahongbonon li libera, li lava, li veste, li chiama per nome. E lo fa con la forza mite della carità cristiana.

La sua opera ha salvato oltre 100.000 vite e ha generato una rete di volontari, religiosi e operatori che condividono la sua visione. Non cerca riconoscimenti, ma testimonia ogni giorno che la fede, quando è vissuta fino in fondo, può cambiare il mondo. La sua vita è una parabola moderna del Buon Samaritano, una risposta concreta all’invito di Papa Francesco a “toccare le ferite dell’umanità”.

Il Giubileo è tempo di grazia, di ritorno, di riscoperta della misericordia di Dio che guarisce e rialza. In questo cammino, la testimonianza di Grégoire Ahongbonon ci interpella profondamente: ci ricorda che la fede non è solo parola, ma carne, mani, sguardi che si chinano sull’altro.

Nel volto del malato psichico incatenato, Ahongbonon ha visto il volto di Cristo sofferente. E ha scelto di non voltarsi altrove. La sua opera è un Vangelo vissuto: non predica, ma libera; non giudica, ma accoglie; non si ferma davanti alla paura, ma si lascia guidare dall’amore. Come cristiani, siamo chiamati a fare lo stesso: a riconoscere la presenza di Dio nei più fragili, a spezzare le catene dell’indifferenza, a costruire comunità che non escludono, ma abbracciano. Il Giubileo ci invita a lasciarci convertire dalla misericordia, per diventare noi stessi segni di speranza.

Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (Mt 5,7)

Nel contesto dell’Anno Giubilare, potremo accogliere Grégoire Ahongbonon per un incontro il 14 ottobre, presso la Chiesa di Sant’Antonio Nuovo, alle ore 20.30. Sarà un’occasione preziosa per ascoltare la sua testimonianza, lasciarsi provocare dal suo coraggio e riscoprire la bellezza di una Chiesa che si fa prossima, che libera, che ama.

Igor Pellegatta

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