Si parla molto di cura, cura verso sé stessi, cura per chi ci passa accanto, cura per l’ambiente. Viene naturale pensare alla cura di una madre verso un figlio. Abbiamo bisogno di sentire che qualcuno ha cura di noi, come pure di prenderci cura di chi ci sta accanto. “Abbi cura di me, qualunque strada sceglierai”, canta Simone Cristicchi. Da bambino mi era stato insegnato che Dio è un Padre e non un giudice e che ha cura di me. E questa idea è sempre stata un riferimento importante nella mia vita. Nella malattia ci si affida alle cure di professionisti sanitari e proprio dal concetto di cura e dall’esperienza quotidiana è nato da due medici il progetto “Cura e reciprocità”. Il progetto vuole mettere in evidenza in più l’aspetto relazionale della cura, e non solo sanitaria, visto che, se ben guardiamo, tutta la nostra vita può considerarsi un servizio, una cura di altri esseri umani.
L’ispirazione nasce dalla riflessione sull’etica della reciprocità, che trae la sua origine nella cosiddetta Regola d’oro: “Fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”, regola presente in quasi tutte le culture del mondo e che rientra nei principi fondanti delle cinque religioni monoteiste, costituendo inoltre la base essenziale per il moderno concetto di diritti e doveri umani. Tale etica richiede di impostare e vivere la relazione secondo un codice di comportamento che va ben oltre il rispetto della sola dignità altrui.
Una prima scommessa del progetto risiede nel promuovere l’etica della reciprocità, considerandola tratto specifico delle relazioni umane. Il richiamo alla reciprocità dovrebbe portare a riconsiderare in una modalità più relazionale e dinamica tutti gli aspetti del rapporto inclusi il pieno rispetto dell’autonomia dell’altro e la necessità di una completa fiducia nel curante, che spesso in ambito medico può essere un professionista sociosanitario.
In effetti, di solito, non si considera la relazione di cura nei termini di uno scambio reciproco, ma come una relazione asimmetrica, un rapporto che, in ragione della competenza e delle conoscenze del professionista, arreca un esclusivo beneficio al curato. La reciprocità contribuisce a far rileggere questa relazione.
Una seconda scommessa è rileggere la relazione professionista sanitario-paziente/curato (nel senso di destinatario di cure) restituendo più forza a entrambe le soggettività coinvolte e al reciproco interagire fra di esse. Inoltre, l’unicità dell’esperienza personale di ciascun curato e la sua considerazione in ambito sociale risulta il migliore antidoto contro la tendenza allo scadere in una considerazione della relazione di cura come un mero ingranaggio di una più grande macchina aziendale.
Pure dal punto di vista del paziente/curato (ad esempio uno studente, ecc.) è importante riconoscere la reciprocità relazionale che caratterizza il rapporto di cura, non pensandosi meramente come un beneficato o come l’unico titolare di diritti e pretese, ma come un soggetto in una relazione di reciprocità. Così facendo il professionista non è più da considerare come colui che offre prestazioni o, peggio, come colui che deve di necessità assecondare le volontà presentate, ma diviene una soggettività con la quale interagire, instaurare una relazione dove è necessario in primo luogo “dare” per “ricevere”.
Il progetto – nato, come detto da due medici – vede a oggi la pubblicazione di tre volumi che affrontano queste tematiche e danno delle testimonianze, grazie al contributo di più di 50 autori di età diverse, tra medici di diverse specialità, professionisti sanitari, ma pure di sociologi, filosofi, teologi, pedagogisti, statistici. Reciprocità, quindi, tra curante e curato, ma anche tra discipline diverse, tra generazioni, tra culture e che ci vede protagonisti attivi. Reciprocità mai come semplice somma, ma come in una alchimia, generante una nuova combinazione (come succede in chimica), capace di aprire nuove possibilità relazionali per un’interazione più vera, efficace ed efficiente tra gli esseri umani.
Lucio Torelli