Il dibattito sul fine vita e sulla legalizzazione del suicidio assistito sta scuotendo molte coscienze in Austria. La recente intervista nella quale il giornalista e scrittore Nikolaus Glattauer annunciava pubblicamente il suo imminente suicidio (poi attuato), rilanciata da tutti i mezzi di comunicazione austriaci, ha prodotto un confronto che mette su piani diversi etica, fede, assistenza sociale e intervento pubblico. Il dibattito, che non è esclusiva austriaca, è attualmente al centro della riflessione; e in Italia anche, dopo le leggi regionali in Toscana e Sardegna, la questione non può più essere relegata solo alla semplice volontà personale. Esperti di prevenzione del suicidio e media sono particolarmente critici nei confronti del modo in cui l’intervista è stata presentata sul quotidiano “Falter” e sul portale di notizie “Newsflix”. Inoltre, diverse lamentele hanno portato il Consiglio della Stampa austriaco ad affrontare l’intervista, che da più parti è stata giudicata mancante di equilibrio, senza analisi di alternative come l’accompagnamento del malato in un momento decisivo dell vita e la medicina palliativa. Situazioni che non sono state considerate, nonostante l’aumento costante di hospice per malati terminali in tutta l’Austria.
Tra le accuse più condivise dall’opinione pubblica austriaca c’è quella di aver voluto creare suspance, quasi un clima d’attesa spettacolare in vista della morte annunciata di Glattauer: cosa che ha indiscutibilmente fatto registrare un notevole aumento di lettori e di frequentatori delle pagine delle due testate che hanno pubblicato l’intervista.
Il “suicidio assistito” è legale in Austria dal 2022 e risponde a determinate restrizioni previste per legge. Ad oggi il numero di persone che hanno praticato il suicidio assistito non è chiaro. Per il Ministero degli Affari sociali, al 1° settembre 2025, dall’entrata in vigore della legge, sono stati emessi 772 provvedimenti esecutivi in tutta l’Austria con le farmacie che hanno dispensato 636 farmaci letali, di cui 99 restituiti.
Tra le voci critiche, Susanne Kummer, bioeticista direttrice dell’Istituto di Antropologia medica e Bioetica (Imabe), ha stigmatizzato la rappresentazione mediatica del suicidio assistito come se fosse una “decisione coraggiosa”. In particolare Kummer si è soffermata sul fatto di presentare il suicidio come una morte dignitosa e si è posta la domanda di cosa potrebbe provare un malato terminale di cancro, o una persona affetta da patologie incurabili nel leggere una descrizione positiva del suicidio.
Il reportage, evidenzia Kummer, “rischia di trasmettere un’immagine unilaterale che solo il suicidio assistito possa essere considerato dignitoso”.
Guardando allo specifico dell’intervista allo scrittore suicida, la bioeticista ha espresso una dura critica alla mancanza di valutazione delle cure alternative palliative: “Vorrei vedere un articolo di copertina di ‘Falter’ sulla morte dignitosa nelle cure palliative – cinque pagine, con un video su YouTube e su tutte le piattaforme social”. Anche la caporedattrice del settimanale di ispirazione cattolica “Die Furche”, Doris Helmberger-Fleckl, ha criticato la tempistica della pubblicazione, che ha prodotto “un brivido, un misto di ammirazione e orrore”. Per la giornalista non offrire una visione con più opzioni, ha, di fatto, marginalizzato altre forme di morte assistita, come quella negli hospice.
Lo psichiatra e psicoterapeuta Thomas Kapitany, direttore del Kriseninterventionszentrums Wien (Centro di intervento viennese per le Crisi), ha espresso preoccupazione per gli effetti sociali che la pubblicità suicidale può causare: infatti la visibilità pubblica del suicidio assistito rischia di trasmettere il segnale che “questa sia la risposta alla paura del processo di morte”. Per Kapitany è grave non aver analizzato tutta quelle serie di pressioni sociali ed economiche a cui potrebbero essere esposti gli anziani e le persone bisognose di cure: “Purtroppo, non si può negare che questo sia un possibile fattore che spiega perché le donne scelgono il suicidio assistito più spesso degli uomini”. La teologa morale Angelika Walser e Christof Eisl, direttore generale del Movimento Hospice di Salisburgo, hanno sottolineato la necessità di dare visibilità alle differenti vie per il fine vita in un’intervista con la redazione sociale dei giornali ecclesiali austriaci (numeri attuali). I due esperti non sono completamente negativi sul fatto che Glattauer abbia così duramente rotto il tabù di parlare pubblicamente del suo suicidio pianificato. Ma benché il fatto abbia dato il via a un dibattito aperto sulla morte e sul morire dignitosamente, l’esposizione mediatica può comportare il rischio di effetti emulativi in soggetti deboli.
Proprio per questo motivo, secondo Walser è basilare il racconto di altre storie: “Esistono modi per affrontare la morte con dignità senza ricorrere al suicidio”.
A sua volta, su questo discorso Eisl ha anche messo in guardia dalla polarizzazione e dalla possibile idealizzazione di singoli casi pubblicizzati in maniera così chiara: l’esperto ha sottolineato che le cure palliative non si concentrano sulla malattia o sulla prospettiva di morte, ma è la persona con i suoi bisogni fisici, mentali, sociali e spirituali ad essere fulcro dell’azione degli hospice. Infatti, precisa Eisl coloro che si rivolgono a un hospice attanagliati dall’ansia e dal dolore fisico e psichico trovano, nella maggior parte dei casi una nuova qualità di vita. L’esperienza austriaca e internazionale dimostrano che per molti, il desiderio di morire viene ridimensionato quando la sofferenza viene alleviata, la prossimità umana e familiare favorita e l’autodeterminazione preservata. In questo senso Walser e Eisl richiedono che queste che loro chiamano “narrazioni silenziose”, basate sulle esperienze dei malati in hospice e dei loro familiari, divengano più presenti nella comunicazione pubblica anche se prive di spettacolarità. Il fatto che in Austria sia sconosciuto ai più che sul territorio sono sempre più presenti centri antidolore e hospice diurni, gruppi di assistenza mobile per le assistenze e le cure palliative domiciliari e servizi pubblici di degenza temporanea, e che sono gratuiti coperti integralmente dall’assistenza sanitaria, indica un urgente bisogno di informazioni.
Johann Platzer, teologo eticista presso l’Università di Graz, afferma che la scelta suicidale di Glattauer merita rispetto, come la sua storia di vita e il suo desiderio di essere ascoltato merita comprensione e attenzione. Ma l’azione dei mezzi di comunicazione può influire negativamente su chi è debole, perché interviste e articoli emotivamente coinvolgenti rischiano di semplificare, drammatizzare o minimizzare la realtà dei fatti. Platzer intende mettere in guardia contro il rischio d’imitazione quando i media descrivono generalmente il suicidio assistito come un passo comprensibile: “Anche se possiamo comprendere il desiderio di suicidarsi di una persona che, a causa della sua sofferenza, non vede più una via d’uscita, il dovere di una società solidale è quello di offrire a questa persona un aiuto per vivere”, inoltre deve essere primaria l’attenzione nei confronti dei gruppi sociali più vulnerabili.
Il problema, secondo l’esperto di Graz, è che “sino ad oggi nella nostra società era opinione comune che il suicidio dovesse essere impedito. Ora potrebbe essere avviato un processo che porterebbe il diritto al suicidio assistito a diventare un diritto acquisito. Ciò potrebbe comportare che la solidarietà con i più deboli venga meno”.
Massimo Lavena (SIR)