Cosa significa educare oggi, tra intelligenza artificiale, disuguaglianze e crisi delle relazioni? A partire dalla Lettera apostolica Disegnare nuove mappe di speranza di Papa Leone XIV, Pier Cesare Rivoltella, docente di didattica e tecnologie dell’educazione all’Università di Bologna, già fondatore del Cremit, riflette sulle sfide dell’educazione cattolica e sul ruolo delle università in un contesto sempre più complesso, ma anche ricco di opportunità per ricostruire legami, generare inclusione e abitare il digitale con sapienza.

Nella Lettera, il Papa individua tre “fatiche” che segnano l’educazione contemporanea: iperdigitalizzazione, crisi delle relazioni e disuguaglianze. Condivide questa lettura?
È una diagnosi molto lucida. La digitalizzazione oggi è onnipresente: dati, algoritmi, intelligenza artificiale plasmano ambienti e processi educativi. Ma dietro questa rivoluzione tecnologica si nascondono rischi reali, come la concentrazione del potere, il controllo sociale, l’erosione delle libertà individuali. La digitalizzazione non è neutra: è portatrice di un nuovo modello antropologico ed economico, spesso aggressivo, che può minacciare la democrazia stessa.
E la crisi delle relazioni?
È altrettanto centrale. Viviamo in una società frammentata, segnata da solitudini, polarizzazioni e competizione. Eppure, accanto a queste tendenze, esistono anche esperienze di solidarietà e prossimità che vanno sostenute.
L’educazione ha qui un compito cruciale: ricostruire legami, favorire l’incontro, allenare all’empatia.
Senza relazioni autentiche non c’è apprendimento profondo.
Leone XIV richiama anche il tema delle disuguaglianze. Il digitale può essere un problema sia per chi ne ha troppo che per chi ne ha troppo poco?
Assolutamente. Siamo abituati a parlare di sovraesposizione al digitale, ma dimentichiamo che in Italia oltre 7 milioni di persone hanno difficoltà ad accedere alle tecnologie. L’eccesso è un problema, ma lo è anche l’esclusione. E spesso le due cose convivono. Il digitale, se non governato, può diventare un moltiplicatore di ingiustizie. Serve una visione educativa che includa tutti, che dia davvero pari opportunità di riuscita.
Lettera apostolica “Disegnare nuove mappe di speranza”
Pubblicata nel 60° anniversario della Gravissimum educationis, la lettera di Papa Leone XIV rilancia l’impegno educativo della Chiesa. Tra le priorità indicate: vita interiore, digitale umano e pace disarmata. L’educazione cattolica è chiamata a essere “costellazione viva”, capace di costruire ponti, promuovere inclusione e affrontare con coraggio le sfide della contemporaneità.
Leone XIV scrive che “perdere i poveri equivale a perdere la scuola stessa”. In che modo, oggi, questo richiamo interpella concretamente il mondo dell’educazione e la sua vocazione all’inclusione?
Ripensando radicalmente il modo in cui intendiamo l’inclusione scolastica. Significa non limitarsi ad accogliere chi è in difficoltà, ma creare condizioni reali per la sua riuscita. Non basta garantire l’accesso all’istruzione: occorre accompagnare, sostenere, personalizzare. I “poveri” di cui parla il Papa non sono solo quelli economici, ma anche i poveri di relazioni, di linguaggi, di strumenti culturali. L’educazione cattolica deve farsi carico di queste fragilità. La scuola non può essere un ospedale che cura i sani.
Il Papa parla di una “costellazione educativa” fatta di carismi e istituzioni diverse, ma invita anche a lavorare insieme per un fine comune. È una sfida attuale?
Moltissimo. La metafora della costellazione è efficace: evoca pluralità e bellezza, ma anche orientamento e coerenza.
Ogni realtà educativa ha la sua specificità, ma tutte dovrebbero concorrere a un progetto condiviso.
In passato ci sono state rivalità e dispersioni. Oggi serve una governance più sinergica, una visione comune che valorizzi le differenze ma eviti sovrapposizioni inutili.
Un altro nodo emerso nella Lettera è la frammentazione tra fede, cultura e vita. È un problema che incontra nel suo lavoro?
Sì, è un nodo aperto. Il Concilio Vaticano II aveva lanciato il grande tema del dialogo tra fede e cultura, ma oggi quella sfida va aggiornata. La cultura contemporanea non è più quella degli anni Sessanta: è più fluida, più secolarizzata, spesso disorientata. Abbiamo bisogno di una nuova grammatica per costruire ponti tra l’annuncio cristiano e la complessità dell’oggi. È un campo decisivo per la Chiesa e per l’università cattolica.
Il Papa individua anche tre priorità: vita interiore, digitale umano e pace disarmata. Sono categorie conciliabili?
Lo sono se si parte da alcuni “a priori” etici: giustizia, solidarietà, corresponsabilità. Senza questi presupposti il dialogo è impossibile e la comunicazione diventa conflitto.
L’educazione deve aiutare a riscoprire questi valori, anche nel mondo digitale. Solo così la tecnologia può essere strumento di pace e non di dominio.
Educare a una cittadinanza digitale responsabile è oggi un’urgenza pedagogica e civile.
Infine, guardando al contesto italiano: le università cattoliche sono ancora in grado di leggere la realtà e formare una classe dirigente?
Credo di sì, ma a condizione che sappiano rinnovarsi. Serve uno sforzo costante di aggiornamento, di ascolto dei cambiamenti, di elaborazione culturale. Non si tratta solo di tenere il passo, ma di offrire visioni, di fare proposta. Le università cattoliche devono tornare ad essere luoghi di profezia e non solo di gestione. È un cantiere aperto, ma ricco di possibilità.
Riccardo Benotti (SIR)
Foto in evidenza: Università Cattolica



