Padriciano e quella conversione sui campi da golf

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Padriciano, tra storia e natura: pini neri segnati dall'uomo, croci simboliche, sentieri panoramici, osmizze e la toccante vicenda del maestro Ernesto.

Padriciano è un rione storico di Trieste, ormai molto conosciuto per la grande quantità di triestini che, negli anni, hanno approfittato del recente sviluppo immobiliare: casa con giardino e lavoro in città.

Il verde e i numerosi sentieri sono una tappa domenicale anche per chi sta in centro, complici gli ottimi collegamenti stradali e le ampie zone da cui si vede anche il mare. Dopo una bella passeggiata ci si può fermare in una delle tante osmizze o agriturismi. Tra questi spicca l’agriturismo Grgic dove si incontrano dei bellissimi cavalli, ma soprattutto, a prezzi modici, stinchi con le migliori patate in tecia del Carso triestino.

Ma torniamo ai nostri sentieri nei boschi: è proprio lì che ci si imbatte in misteriosi alberi, alti e robusti, che, come un uomo che apre la camicia per mostrare il costato, fanno vedere la corteccia aperta e segni lineari e paralleli, di cui a prima vista non si capisce l’origine: malformazioni naturali? Animali misteriosi?

Nulla di tutto ciò, ma un segno che richiama i tempi moderni, in cui ci sono dazi e sanzioni tra Stati. Le incisioni sulle cortecce, infatti, risalgono all’epoca fascista in cui la Società delle Nazioni impose restrizioni su alcuni beni, potenzialmente utili all’industria bellica del Regno d’Italia: era il tempo delle famose “ingiuste sanzioni”, in seguito all’invasione dell’Etiopia. Per far fronte a questi, il regime individuò nel pino nero, inciso con precisione, una fonte di resina adatta all’industria chimica. Ed ecco che i pini neri di Padriciano diventarono il luogo di preziose estrazioni di cui tutt’oggi ne vediamo le tracce.

Proseguendo dai sentieri e incrociando la strada asfaltata si incontra una grande croce antica, su un cippo. È particolare, perché non vi sono altri elementi paesaggistici che ne giustificano l’esistenza. Si viene presi anche qui, come nel caso dei pini neri, da mille ipotesi: è morto qualcuno in un incidente stradale? Qualche battaglia antica nei secoli? La risposta è molto più profonda e ricorda un momento doloroso per la comunità di Padriciano: l’ultimo saluto al defunto. Infatti, proprio in quel punto vi è il confine con Basovizza e i portantini, in corteo funebre verso l’unico cimitero disponibile – quello, appunto, di Basovizza, – si fermavano per una breve sosta che aveva molteplici scopi. Il primo era simbolico: l’uscita del defunto dal paese e quindi, toccando per l’ultima volta il terreno, il distacco simbolico dalla Comunità. Poi, dare il tempo ai portantini affaticati, di fare il cambio tra loro e, infine, permettere ai ritardatari di arrivare a raggiungere l’amico per l’ultimo saluto.

Un luogo molto conosciuto dai triestini è infine il locale campo da golf vista mare, dai prati perfetti, e frequentato da personaggi di spicco della borghesia triestina. Ed è lì che molti anni fa c’era un maestro di nome Ernesto, esule istriano dai capelli rossi, lunghi baffi e vivaci occhi azzurri come quel tratto di mare a Canegra, in cui era cresciuto. Era un uomo affascinante, a cui le donne cadevano ai piedi e conosciuto, per questo, fin in Friuli. Aveva però due particolarità: era povero ed aveva un carattere forte, troppo forte, tanto da essere molto diretto, senza filtri con gli allievi, famosa la frase: “No te capisi proprio niente!”, che un po’ allontanava i rampolli più sensibili e quindi, purtroppo, le laute mance.

Ad un tratto, però, Ernesto cambiò, divenne meno aspro e dolce, con gli occhi pieni di speranza e gratuità. Il sorriso era sempre sul suo volto, quasi pronto a donare una carezza a tutti, anche con chi, in passato, si era scontrato con lui. Cos’era successo ad Ernesto? A coloro che, incuriositi, glielo chiedevano rispondeva, guardano il cielo, che aveva fatto esperienza del grande amore di Dio e invitava tutti ad approfondire la sua Parola, capace di penetrare nel profondo e a cambiarti in un uomo nuovo.

Purtroppo Ernesto, ormai anziano, si ammalò di cancro all’esofago. Affrontò le cure sempre con gioia, meravigliando tutti, perché al posto di farsi consolare, consolava. Al funerale oltre ai parenti, i suoi compagni di cammino e quella bara, in cui appariva il suo volto dai lunghi baffi e dalle labbra sorridenti. Ad occhi attenti, non sfuggirono però due particolari: nella mano sinistra, tra le dita, una palla da golf, nella destra la Bibbia.

Erik Moratto

Gruppo Facebook “Misteri e Meraviglie del Carso”
Foto del pino di Alessandro Pesaresi
Foto del sentiero di Alida Destradi


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