Cromazio è vescovo di Aquileia dal 388 alla morte, nel fosco tramonto dell’età classica, dopo l’invasione visigotica di Alarico del 408: sembra infatti vivente ancora a fine dicembre 415, quando, insieme col vescovo Giovino già diacono ad Aquileia, nel Concilio di Diospoli (Lidda) del 415 conferma l’ortodossia di Pelagio nel proclamare la permanenza della fondamentale bontà della natura anche dopo il peccato di Adamo.
Cromazio è il quinto successore di Teodoro, l’edificatore della chiesa episcopale doppia di Aquileia, decorata dai mosaici che illustrano l’offerta evangelica di una salvezza universale; consacrato vescovo da Ambrogio di Milano, consolida in pienezza l’eredità dei suoi immediati predecessori aquileiesi: Fortunaziano, che, alla guida della Chiesa allora seconda per dignità in Italia dopo Roma, aveva contribuito con accorte mediazioni alla resistenza cattolica contro l’arianesimo, favorito invece dall’Impero, e san Valeriano, che aveva rinsaldato il gregge nell’ortodossia nicena, anche presiedendo il Concilio aquileiese del 381, per spegnere gli ultimi focolai ariani dell’Illiria: e proprio dagli Atti di questa grande assemblea risuona per la prima volta la voce diretta e risoluta dell’allora prete Cromazio, registrata dagli stenografi. Principalmente grazie a Rufino da Concordia e a Gerolamo da Stridone (fra Lubiana e Fiume) conosciamo l’impresa che del giovane Cromazio, “nuovo Samuele nutrito nel Tempio”, fa già verso il 470 un maestro di nuove tendenze spirituali: il monasterium, «famoso per la somiglianza a un coro di santi», che intorno alla sua famiglia raccoglie – fin dalla Siria – clerici e «monaci insigni» (Gerolamo). Se ne dispiega una vasta ramificazione di amicizie, da cui l’autorità morale di Cromazio sa favorire lo sboccio di capolavori della cultura paleocristiana mondiale: soprattutto la nuova, ardita traduzione geronimiana della Bibbia in latino, condotta direttamente dall’ebraico, e la divulgazione fra i Latini, prodotta sistematicamente da Rufino, della grande teologia e storiografia greco-cristiana.
Cromazio, da vescovo, si distinse poi come omelista e – emulando Fortunaziano – anche come esegeta: ma solo pochi frammenti della sua opera restavano noti ancora fino a oltre metà del sec. XX; la riattribuzione a Cromazio, grazie a Raymond Étaix e Joseph Lemarié, dei Sermoni e dei Trattati su Matteo, trasmessi sotto nome fittizio, ha però spalancato dagli anni ’70 in poi entusiasmanti orizzonti di ricerca sulla storia di Aquileia cristiana, le cui fonti aveva impoverite il pregiudizio medievale verso suoi presunti trascorsi ‘semi-pelagiani’, se non addirittura ‘scismatici’, in difesa dei Tre Capitoli. Dalla personalità di Cromazio, intellettualmente educata, ma schietta e integralmente conformata a finalità di pastore, promana infatti un annuncio formulato in consapevole, determinata aderenza alla tradizione locale della fede, anche a prezzo di formule arcaiche nell’annuncio della fede – pasquale specialmente; ciò impone quindi un’analisi ‘stratigrafica’ dei suoi scritti, rispettosi per esempio dell’esegesi di Fortunaziano: essi allora si dimostrano capaci di svelare indizi delle fasi più antiche del cristianesimo illirico e norditalico, caratterizzate da sensibili apporti giudeo-cristiani e della teologia di Asia Minore di fine II secolo, marcatamente improntata alla tradizione del vangelo di Giovanni.
Se vogliamo poi ravvivare nell’ascolto la voce di san Cromazio, nel giorno della sua memoria e nella prospettiva imminente della festa della Natività del suo e nostro Signore, ecco qui proposto un brano di toccante significato sia per la spiritualità protocristiana aquileiese (fortemente contemplativa del martirio di sangue), sia per la formazione del concetto cattolico di ‘martirio’ (come dono di Dio in cui è visibile il primato spirituale della ‘carne’): la lode dei «primi martiri di Cristo», cioè gli ‘infanti’ di Betlemme, che Aquileia venerò forse per prima nella propria liturgia.
«Hanno preso in odio la sapienza, così da non accogliere la parola del Signore e non volerla. Essa infatti dice per mezzo di Davide: «sei tu ad avermi tratto dal ventre, sei tu la mia speranza fin dalle mammelle di mia madre: fin da dentro il ventre di mia madre sei tu il mio protettore» [Sal 21,10-11]. Che il Cristo Signore non potesse in alcun modo essere ucciso da bimbo infante e ancora lattante, fu pure il santo Mosè a testimoniarlo con queste parole: «non cuocerai l’agnello nel latte di sua madre» [Es 23,19 e 34,26; Deut 14,21], intendendo dire che Cristo nostro Signore, ossia l’agnello vero, non bisognava morisse se non quando il tempo fosse stato maturo. Ecco dunque che a Betlemme vengono uccisi tutti gli infanti: ma, nell’atto di morire quando erano ancora innocenti, si son levati alla statura di primi martiri di Cristo. A loro mostra di alludere anche Davide, quando dice: «dalla bocca degli infanti e dei lattanti hai tratto a perfezione la tua lode contro i tuoi nemici, per distruggere il nemico e il difensore ribelle» [Sal 8,3]. Infatti in questa persecuzione i piccoli ancora infanti e lattanti sono uccisi al posto del Cristo e conseguono un martirio la cui lode è perfetta. Invece l’ingiusto re Erode finisce distrutto, mentre presumeva di poter difendere il suo regno contro il Re dei cieli. Non senza merito perciò quei bambini infanti si son levati in tutto e per tutto alla condizione di beati, loro che per primi hanno meritato di morire per il Cristo, a cui è la lode e la gloria nei secoli dei secoli. Amen» (Chromatius Aquileiensis, Tractatus in Mathaeum, tract. 6)
Merita allora di riascoltare anche come la verità terribile, eppure consolante, predicata da Cromazio possa venire ammessa – per voce ispirata di Charles Péguy nel Mistero dei Santi Innocenti (1912) – dalla parola di compassione del Padre stesso:
Per una specie di equivalenza
questi innocenti hanno pagato per mio figlio.
Essi furono presi per lui.
Furono massacrati per lui.
Invece di lui. Al suo posto.
Erano coetanei di mio figlio,
erano simili a mio figlio.
E lui era simile a loro.
A tutti dunque l’augurio di una rinnovata memoria di san Cromazio e di un fedele cammino di Avvento verso il Natale sconvolgente di Gesù.
Alessio Peršič
Pietro Antonio Novelli (1790), Cromazio predica nella cattedrale di Aquileia (Duomo di Udine)