8 maggio 1945: la pace in Europa

Fare tesoro del passato e ricordare le devastazioni della guerra per guardare alle vie della pace, della democrazia e della fraternità faticosamente costruite

Il 7 maggio, il generale tedesco Alfred Jodl sottoscrive a Reims, presso il quartier generale alleato, la resa della Germania. Nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1945: pochi minuti dopo la mezzanotte, il feldmaresciallo Keitel – capo del Comando supremo della Wermacht: sarebbe stato processato a Norimberga e condannato a morte nell’autunno di un anno dopo – firma la resa della Germania all’Unione Sovietica. Siamo a Berlino: la città si è dunque arresa alle truppe sovietiche che l’hanno raggiunta pochi giorni prima, sbaragliando l’ultima resistenza tedesca cui partecipano anche giovanissimi membri della Hitler-Jugend e anziani, molti dei quali imbracciano armi anticarro. Il 30 aprile Adolf Hitler si è suicidato nel bunker ricavato sottoterra a pochi passi dalla Cancelleria del Reich: vi si è rinchiuso con i suoi fedelissimi. È l’ultimo dei tredici quartieri generali dai quali ha condotto al massacro un popolo intero e ha infiammato l’Europa. Con lui muore Eva Braun, che sposa prima di togliersi la vita. Si suicida anche il suo ministro della propaganda, Joseph Goebbels: poco prima la moglie ha provveduto a narcotizzare e ad avvelenare con il cianuro i loro sei figli. Poi sarà la loro volta.

Perché le operazioni militari in Europa cessino una volta per tutte bisogna attendere la resa delle ultime truppe tedesche in Cecoslovacchia, l’11 maggio, mentre il giorno 9 Praga viene raggiunta dalle truppe sovietiche. In quanto all’Italia, la liberazione del paese dal nazifascismo è ormai un fatto compiuto. Ora, dopo oltre cinque anni, la guerra in Europa può dirsi finita: per l’Asia occorrerà invece attendere lo sgancio delle due bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki.

Come i sovietici, nel corso della loro avanzata verso occidente, hanno liberato Auschwitz, così gli angloamericani, nella loro corsa verso la Germania – le linee di suddivisione dell’Europa liberata sono state stabilite tra le diverse potenze in campo, già concorrenziali sul piano politico – scoprono nuovi orrori in altri campi dell’universo concentrazionario nazista. Sono scenari che vanno al di là di ogni immaginazione che affermati registi, al seguito delle truppe alleate, documentano in scene che ancora ci colpiscono per la loro crudezza.

Alla fine del conflitto non è mera operazione retorica affermare che il nostro continente è in molte aree ridotto a un ammasso di macerie. La guerra totale non ha risparmiato nulla e nessuno, ogni palmo di terra è stato teatro di violenti combattimenti. Massicci bombardamenti hanno raso al suolo intere città – indimenticabili le braccia di Pio XII aperte ad abbracciare i romani colpiti dal bombardamento del 16 luglio di un anno prima! – intere regioni sono devastate dalle furiose battaglie che vi si sono svolte. Azioni di rappresaglia perpetrate dai nazisti e dai loro fiancheggiatori hanno incendiato villaggi e ucciso inermi creature di Dio. Come non pensare alla distruzione degli ebrei d’Europa, alla persecuzione di tante categorie di persone per i quali non c’è posto nel Nuovo ordine europeo concepito dalla dottrina nazista… E lutti a non finire: tanto per dare un’idea, un ordine di grandezza sono quasi 9 milioni i soldati sovietici caduti, quasi 17 milioni i civili a fronte di 3.250.000 soldati tedeschi e circa 2 milioni di civili…

Anche l’Italia – che Mussolini e il fascismo hanno voluto precipitare nel conflitto intrapreso da Hitler, sperando di giocare un ruolo di grande potenza – esce devastata dal conflitto.

Il continente è attraversato da enormi flussi di popolazione: da una parte i tedeschi espulsi da Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria, Jugoslavia e Romania, mentre altri popoli sono vittime di reciproci provvedimenti di espulsione come nel caso di polacchi ed ucraini. A breve anche i profughi giuliano-dalmati parteciperanno di questo immane movimento forzato di genti. A questi flussi vanno aggiunti i milioni di displaced persons private di un Paese cui far ritorno e in cerca di nuovi orizzonti. Prigionieri ed ex deportati cercano anch’essi di rientrare in patria, ma quale patria? Ovunque regna la fame e si annidano malattie che minacciano la sopravvivenza di una popolazione europea indebolita da anni di privazioni. Una terra desolata.

Nell’estate di tre anni prima, nella Francia occupata e assoggettata dai nazisti, il filosofo Jacques Maritain scriveva, pensando al futuro: «Dipende dallo sforzo supremo della libertà umana, nella lotta mortale in cui oggi è impegnata, che l’era in cui stiamo per entrare non sia l’era delle masse e delle moltitudini informi, nutrite, asservite e condotte al macello da semidei infami, ma l’era del popolo e dell’uomo della comune umanità – cittadino e coerede della comunità civile –, cosciente della dignità della persona umana che è in lui, costruttore di un mondo più umano, proteso verso un ideale storico di fratellanza umana»… sono idee come queste che hanno garantito all’Europa quasi ottant’anni di pace. Ripensiamoci oggi, quando nuove devastazioni e orrori si sono riaffacciati nel nostro continente. Facciamo tesoro del passato, ricordiamoci dell’abisso in cui l’umanità era stata precipitata: per la generazione di europei travolti dal secondo conflitto mondiale risalire è stata un’impresa ardua. Ma in molti, in troppi si erano lasciati convincere a scendere nel baratro dalle parole di uomini assetati di potere. Ripensiamo all’Europa del 1945: alla sua devastazione materiale e morale e guardiamo con riconoscenza a quanti, tra gli uomini e le donne di quella generazione, hanno saputo farci percorrere le vie della risalita, pur se in un mondo diviso. Uomini e donne che ci hanno indicato le vie della pace, della democrazia e della fraternità. Un cammino lungo il quale ancora vogliamo e dobbiamo procedere.

Fabio Todero

 

Nella foto del Bundesarchiv, l’8 maggio 1945 a Berlino – Karlshorst  il maresciallo dell’Unione Sovietica G. K. Zhukov, in rappresentanza del Comando Supremo dell’Armata Rossa, firma il documento di resa, con il viceministro degli Esteri sovietico A. J. Vyshinsky a sinistra e il generale dell’esercito W. D. Sokolovsky a destra

 

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