“Se uno mi vuole servire, mi segua” (Gv 12,26)
Con tutta la Chiesa di Trieste festeggiamo in questa Domenica 3 novembre, San Giusto, il patrono principale della nostra Diocesi, alla luce delle letture della liturgia propria del Santo.
Nel Vangelo di Giovanni al capitolo 12, proclamato in questo giorno, ascoltiamo che il chicco di grano che cade nella terra, se non muore rimane solo, infecondo, chiuso in se stesso, se invece muore, fa molto frutto (cf. Gv 12,24). È come la vita di Gesù e la vita di chi, come Giusto lo segue fino in fondo, esponendosi con tutta la sua vita per dare testimonianza di Lui: “Se uno mi vuole servire, mi segua” (Gv 12,26).
La sua vita, seminata nei solchi della storia segnata dalla violenza delle persecuzioni contro i cristiani dei primi secoli, ha dato molto frutto, è stata generativa per la vita e la fede cristiana a Trieste.
“L’onda azzurra del nostro bel mare ti cantava di Dio la grandezza
e nell’onda dovevi esalare
il supremo sospiro d’amor”. (Inno a San Giusto)
Giusto è stato gettato in mare a causa della sua fede e restituito alla sua città dalle acque, un’immersione battesimale in forza della quale ora “veglia” sulla comunità locale dall’alto del “suo” colle, caratterizzato dalla presenza architettonica e culturale dell’Impero romano che credeva di aver affogato la testimonianza di Giusto. Nato nel III secolo e cresciuto nella fede cristiana, Giusto, nel corso della persecuzione di Diocleziano, una delle più feroci, si trovò davanti alla drammatica scelta tra il dover rinnegare la propria fede oppure morire. Avendo scoperto una grazia, un’amore gratuito che vale più della vita (cf. Sal 62,4) e per cui vale la pena dare la vita, scelse la seconda via: troppo prezioso era il dono del Vangelo per essere rinnegato.
Anche noi ci troviamo in certe situazioni della vita quotidiana, in certe relazioni, in certi gruppi di amici o sul lavoro o a scuola, a dover scegliere tra il rinunciare al mostrarci cristiani, fedeli al Vangelo per accondiscendere a qualcuno, o scegliere la via della fedeltà anche quando questo costa caro.
“Obbedire alla vita, agli eventi incomprensibili, vuol dire consegnare la propria vita, fidarsi di colui al quale sto affidando la mia vita. Ogni relazione se non è una consegna reciproca non è mai autentica. L’amore si sperimenta solo nella consegna” (G. Piccolo SJ).
È questa l’immagine che ci viene presentata dal Vangelo di Giovanni in questa domenica: il chicco di grano si consegna alla terra, alla storia con le sue sfide, la sua bellezza e le sue insidie. Ed è l’unico modo per portare frutto, per essere fecondi e generativi in questa storia concreta e particolare. “Se il chicco di grano non si lascia avvolgere dalla terra, se non passa attraverso il dolore della spaccatura che fa germogliare la pianta, non arriva mai a realizzare pienamente la sua vita” (G. Piccolo SJ), ad esprimersi totalmente.
“Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.” (Gv 12,25). Si rischia di tenere per sé la vita. È un po’quello che avviene quando si fa un piccolo esercizio: se si trattiene il respiro, l’aria che inspiriamo, riceviamo in dono gratuitamente per vivere, si rimane soffocati. Invece l’aria, la vita, ci viene data perché possiamo espirarla, ri-donarla, ri-consegnarla, appunto. La vita è un dono e il respiro ce lo insegna. Di egoismo si soffoca.
Molti trattengono la vita, non la consegnano mai pienamente nell’amore, neppure nelle relazioni più significative e importanti della loro vita. Se si trattiene per sé la vita per la paura di perdere, non si arriverà mai pienamente ad amare, a servire seguendo Gesù. Solo quando si trova qualcuno per cui vale la pena vivere, morire, dare la vita, si può vivere pienamente, si può vivere da Dio.
don Sergio Frausin