Mentre la scorsa settimana usciva un’intervista sull’emergenza carceri con il prof. Paolo Pittaro, Garante regionale dei diritti della persona, proprio nella stessa serata si verificava una rivolta alla casa circondariale di Trieste. Ritorniamo, allora, sul tema. Professore, cosa ci dice al riguardo?
I mezzi di informazione hanno dato ampie notizie su quanto accaduto ed una attenta riflessione è stata subito posta (ed evidenziata anche in queste pagine) dal vescovo mons. Enrico Trevisi.
Desidero soffermarmi su alcuni punti importanti, non sempre riportati correttamente da stampa o web.
Come è noto, la casa circondariale “Ernesto Mari” di Trieste soffre di un marcato sovraffollamento: prevista, infatti, per 150 detenuti ne ospita, invece, 260. Ora la rivolta, scoppiata nella serata di giovedì 11 luglio, non ha riguardato l’intero carcere, ma solo una parte di questo: il secondo piano, ove i ristretti erano, anche a causa del caldo, nelle celle ancora aperte, ossia con la possibilità di stare nei corridoi del settore. Pertanto, non ha coinvolto i detenuti del pianoterra, del primo piano nonché la sezione femminile dell’ultimo piano.
Si ritiene che l’ora serale (circa le 19.30) non sia stata scelta a caso, ma predisposta, in quanto la polizia penitenziaria, già ben sottorganico, era in limitata presenza per le ore notturne. La rivolta si è subito presentata con una violenza non casuale: sono state distrutte in primis tutte le telecamere di sorveglianza presenti, per cui dalla centrale non si poteva vedere quello che effettivamente stava succedendo. Ne è seguita una devastazione totale, con tutti vetri e finestre infrante, urla di protesta sentite ben lungo le strade adiacenti, incendio di lenzuola ed abiti, allagamento di tutto il settore, svuotamento di tutte le bombole antincendio (la cui nube si aggiungeva a quella del fumo) e, soprattutto, scardinamento o sfondamento della porta dell’infermeria, con la distruzione del tutto ed il saccheggio dei medicinali presenti e l’appropriazione di quelli a base di metadone (somministrato ai tossicodipendenti).
Per sedare tale rivolta hanno fatto irruzione le forze speciali?
Assolutamente no. Se qualche mezzo di comunicazione web sul momento aveva menzionato l’intervento delle forze speciali con l’uso perfino di lacrimogeni, non è affatto vero. Anzi. La soluzione si deve alla competenza ed alla professionalità della Magistrata di Sorveglianza, dott. Rosa Maria Putrino, e della Comandante della polizia penitenziaria, dott. Anna Maria Peragine. La prima ha proibito, d’autorità, l’ingresso e l’irruzione nel carcere di ogni forza pubblica, mentre la seconda ha allontanato dal piano il personale presente. Pertanto, solo loro due sono rimaste a parlare ed a mediare con i detenuti, nella tensione che si andava man mano riducendo, finché essi hanno compreso la gravità del loro operato e alla fine sono ritornati nelle celle. In definitiva, non c’è stato nessun contatto fisico fra i ristretti e la polizia penitenziaria ed è stato evitato ogni intervento di forza.
Però, alla fine c’è stato un morto.
Nel pomeriggio successivo un detenuto si è accorto che il suo compagno di cella, che riteneva dormisse, era deceduto. Sarà l’autopsia, disposta dall’autorità giudiziaria, a stabilire se si è trattato di un malore ovvero – come ipotizzabile – per aver assunto qualche sostanza (metadone) sottratta dall’infermeria nel giorno precedente.
Quali le conseguenze giuridiche e pratiche a seguito di tale situazione?
Quanto avvenuto è ora al vaglio della Procura della Repubblica che ha aperto un fascicolo per indagare sui reati commessi (come quello di devastazione e saccheggio) e sulle relative responsabilità penali.
Al di là del profilo strettamente penale, si pensi ad una conseguenza direi paradossale. Come ho in precedenza illustrato tutti i Garanti e varie Istituzioni, a fronte del massiccio sovraffollamento, si erano attivati affinché la liberazione anticipata, attualmente prevista nello sconto di 45 giorni di pena ogni semestre per chi ha partecipato all’opera di rieducazione, fosse portato ad almeno 60 giorni, cosa, peraltro, già fatta nel passato: un appello rimasto inascoltato nel decreto legge 4 luglio 2024, n. 92. Ebbene, avendo partecipato alla sommossa e non di certo all’opera di rieducazione, tali ristretti non potranno usufruire neanche dello sconto vigente dei 45 giorni: un aggravamento della loro situazione.
Rimangono i notevoli danni da riparare mentre alcuni detenuti ritenuti capofila della violenta protesta saranno trasferiti e non facilmente, dato che il sovraffollamento non è locale ma nazionale.
L’evento ha messo in evidenza anche il rilievo della magistratura di sorveglianza e, a tale proposito, si noti che, nel giro di sei mesi, a Trieste sono andati in pensione due magistrati su tre, compreso il Presidente (quindi la dott. Putrino è rimasta l’unica) e a Udine, ove l’ufficio si occupa delle pratiche delle altre 4 carceri della regione, uno su tre. In altri termini, il Tribunale di sorveglianza opera dimezzato (tre magistrati su sei) e si ricordi che spetta a tale organo decidere sulle pene alternative, i permessi, e tutta la così detta giustizia penale esterna. Pertanto si auspica fortemente che il Consiglio Superiore della Magistratura, competente per tali nomine, provveda con solerzia in merito.
Quanto avvenuto al Coroneo di Trieste è un unicum ovvero esistono situazioni analoghe nel Paese?
Proteste violente e parziali rivolte hanno avuto luogo questo mese a Solliciano, Viterbo, Trento, Vercelli, Brissogne e Torino, mentre è in costante crescita il numero dei suicidi in carcere: ora 58 dall’inizio dell’anno (nessuno nel Friuli Venezia Giulia), più sei da parte di agenti della polizia penitenziaria, cui devono aggiungersi più di 800 tentativi di suicidio sventati in tempo.
Di fronte a questa emergenza carceri sempre più infuocata e dopo il decreto legge che ha definito “deludente”, quali possibilità, soluzioni prospettabili ed iniziative dei Garanti?
Lunedì 15 luglio c’è stata a Roma la Conferenza nazionale dei Garanti territoriali delle persone private della libertà personale, cui io ho partecipato da remoto, e dove ho anche esposto le vicende triestine. In particolare l’assemblea ha approvato il documento base per la Conferenza stampa del pomeriggio, convocata presso la sala “Caduti di Nassirya” del Senato delle Repubblica sul tema “Diritto alla vita e alla speranza dei carcerati”. In tale sede il Portavoce ha esposto le proposte dei Garanti rivolte proprio ai parlamentari, dato che il decreto legge, per dettato costituzionale, deve essere convertito in legge entro 60 giorni, in modo che presentino emendamenti tali da introdurre l’ampiamento della liberazione anticipata, o qualsiasi altra misura atta a ridurre il sovraffollamento, tenendo presente che degli oltre 61.00 detenuti attualmente in carcere ci sono 8.341 con un residuo di pena inferiore ai sei mesi, 7.027 con meno di un anno e 21.075 con una pena inferiore ai 3 anni. Un provvedimento non “libera tutti”, ma destinato a fare uscire costoro che, con pena minima residua, abbiano partecipato all’attività di rieducazione. Insomma, un qualsiasi provvedimento, ma non rinviabile o pro futuro ed immediatamente applicabile, senza indugio, hic et nunc.
Non solo. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 10 del gennaio scorso, ha sancito il “diritto all’affettività” del detenuto, ossia il diritto di intrattenersi con i suoi familiari o conviventi in un luogo predisposto del carcere senza il controllo visivo da parte del personale. Dato che le espressioni dell’affettività comprendono anche i rapporti sessuali, pur essendo la sentenza immediatamente applicabile riferendosi ad un diritto soggettivo della persona, il Ministero ha respinto ogni richiesta in tal senso (ne giacciono a centinaia) rinviando il tutto al parere di una Commissione che dovrebbe esprimersi ad ottobre. Anche su tal punto i Garanti ne chiedono l’immediata applicazione, travalicando la reazione di qualcuno che ha affermato che “il carcere non è né un hotel né un bordello”.
Abbiamo spesso sentito affermazioni similari, specie dopo reati amplificati dai media, del tipo “sbattetelo in carcere e gettiamo via la chiave!” Come risponderebbe?
Parafrasando il titolo di un noto filmato: “alla ricerca della chiave perduta” ….